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I mestieri del passato

(terza parte)




Ecco la terza parte della trattazione di Giulio Mendozza sugli antichi mestieri. L'autore arriva a descriverne in tutto circa ottanta. Buona lettura!



Il FERRACAVALLO era l'artigiano che inchiodava agli zoccoli dei cavalli i ferri da lui stesso forgiati. Al cavallo veniva messo in bocca un bastone rivestito, per evitare che gridasse o potesse morsicarsi durante l'operazione. D'altra parte, abbiamo visto che, per camminare, le basi si consumano, ecco perché alla povera gente, e non solo ai cavalli, venivano applicate alle scarpe puntette e centrelle.

'O FRANFELLICCARO era la gioia di piccoli e grandi. Il "franfellicco" era un impasto che Antonio Altamura definisce: "bastoncino di zucchero caramellato". Il franfelliccaro impastava e nell'impasto versava uno sciroppo colorato come abbiamo visto per la "rattata". Quando l'impasto era ben amalgamato, lo lavorava su un supporto metallico a forma di uncino, ricavandone dei bastoncini, ormai solidi, che con dei forbicioni tagliava in pezzi di alcuni centimetri, che venivano subito acquistati da quelli che si affollavano ad osservare le varie fasi della manipolazione. Era bello mangiare il "franfellicco" ancora caldo. I franfellicchi venivano anche venduti su bancarelle insieme ad altre "cose doce" di scarsissimo valore e costo.

Ecco una bella poesia di Alfredo Gargiulo,scritta nel 1928

‘E FRANFELLICCHE
"Doje paparelle le zucchero,
tre o quatto sigarette le ciucculata;
nu perettiello chino d'acqua e ccèvoza,
‘cu dint’ ‘a ficusecca sceruppata.
Poi’le franfellicche: al massimo,
nu trenta franfellicche le ogni culore;
cierte so' chine le povere,
cierte se so' squagliate p I "o calore.
Pure pare incredibile,
Ce io ce sto riflettenno la na semmana):
ncopp'a nu bancariello e a sti tre prùbbeche,
ce campa,spisso,na famiglia sana ..."



Il FUNARO avvolgeva la canapa retrocedendo a mano a mano che la fune si allungava. E' nota la frase: "fa' l'arte d' 'o funaro" per indicare coloro che invece di andare avanti nel bene o nella fortuna, vanno a ritroso.

Il FUNAMBOLO che a Napoli era chiamato ARTURO (perché Arturo non lo so) 'NCOPP’ ‘E FILE metteva un filo da palazzo all'altro e, con una pertica tra le mani, passeggiava da un capo all'altro, spesso fingendo anche di scivolare per accrescere la suspence tra gli spettatori che erano incantati col naso all'insù.

'O FARENARO era specializzato nella vendita esclusiva di farina di grano, di granturco e crusca (vrenna). Quand'ero piccolo ricordo appunto un "farenaro" che scaricava sacchi di farina per fornire un panificatore che aveva laboratorio e bottega proprio di fronte casa mia. Tale farinaro era un uomo tarchiato con due gambe che,se unite, formavano quasi una circonferenza perfetta. Guidava un carretto tirato da due buoi.

IL GELATAIO AMBULANTE era quello che "grattava" con un arnese metallico una forma di ghiaccio, ricavandone fiocchi di neve su cui versava uno sciroppo colorato: era la cosiddetta "rattata". Quando ero piccolo, compravo la "rattata" e, per prima cosa, succhiavo voracemente lo sciroppo .

‘O GRAVUNARO era il venditore di carbone. Il carbone per essere buono doveva essere di quercia e non di castagno. C'era un proverbio che recitava: "Cu' gente 'e muntagna e cravune 'e castagno nun ce fa' negozio ca nun ce guaragne".

Non si vede più il venditore ‘e JAMMARIELLE. 'E jammarielle erano gamberetti "'e sciummo", cioè di fiume. A Napoli provenivano prevalentemente dal fiume Sarno quando era un fiume e non una cloaca. Il venditore li portava in una "scafaréa". La scafaréa era un recipiente a forma di cono tronco all'interno smaltato e screziato di bianco e di verde. La scafaréa era poggiata sulla testa del venditore dove faceva da ammortizzatore nu "turceniello 'e pezza",cioè un panno arrotolato a forma di corona. Spesso,insieme ai gamberetti, venivano vendute anche anguille e ranocchie.

'A LAVANNARA che oggi è stata egregiamente sostituita dalla lavatrice, andava per le case a lavare i panni sporchi, così che essi si lavavano in famiglia ... Si faceva la cosiddetta "culata", usando il "lavaturo". Si adoperava cenere e sapone di piazza, cioè quel sapone che abbiamo già trovato, venduto dal casadduoglio. Per indicare che le cose non vanno per il verso giusto, anche oggi si usa dire: "Facesse ‘na culata e ascesse 'o sole". Un'altra espressione un po’ colorita, di cui chiedo venia,è: "E’ ghiuto comme 'o lavaturo",per indicare un episodio diarroico... Nella letteratura napoletana non mancano versi o canzoni che riguardano la lavannara. Propongo i versi ricavati da una antica canzone:
"Jesce sole,e ccà te spanne,
pruverenzia de chi lava!
Si' lo vero asciuttapanne
che se gode e nun se pava!
Lloco ncoppa che nce faie?
'Ntra le nnuvole te staie,
comme fusse no ncantato
che non sape cha dda fà.
Lo Signore t'ha criato
la colata p'asciuttà."


'O LAMPIUNARO, altra figura del passato, era colui che, armato di una lunga mazza alla cui punta c'era un lucignolo, la sera accendeva i lumi a gas per le strade. Per spegnere, usava 'o stutale, un cono capovolto. E' famosa l'espressione: l'urdemo lampione 'e Forerotta, per indicare una persona sciocca. A Fuorigrotta, proprio perché ubicata nell'estrema parte della città, si dice che terminassero i lampioni. L'ultimo portava il numero 6666. Il 6 indica lo scemo, ergo quattro volte scemo.

Quello del LUTAMMARO era un mestiere molto umile. Quest'uomo girava per le strade con un corbello dove raccoglieva gli escrementi che gli animali (asini, cavalli, buoi) deponevano nel loro passaggio. Il lutammaro vendeva ai contadini quanto raccolto ai fini della concimazione del terreno. Giulio Cesare Cortese ne parla in questi due versi tratti da "Micco Passaro 'nnammorato":
Vede da luongo n'ommo che carrea
certa lotamma co na ciucciarella.


Ancora più umile era il mestiere del LATRENARO, che nettava le latrine e ne vendeva, anch'egli, agli agricoltori, il ricavato. Io ho un ricordo molto vivo riguardante questo mestiere. Nel 1942 ero bambino; la mia famiglia, come tante altre, fu costretta a sfollare dalla città a causa dei bombardamenti aerei. Ci portammo in un paesino a pochi chilometri da Napoli. Ebbene, periodicamente, giungeva un carretto sul quale erano dei bidoni nei quali venivano versati gli escrementi umani prelevati dai pozzi neri all'interno dei cortili dei palazzi. Era uno spettacolo nauseabondo dove specie la vista e, ancor più, l'olfatto, erano i sensi più offesi. Quando il carro si muoveva, il contenuto dei bidoni oscillava e, a volte, debordava. E dire che ciò avveniva appena una sessantina d'anni fa. Com'è vero che spesso la realtà supera la fantasia. Oggi un fatto del genere risulterebbe anacronistico, inimmaginabile, impossibile. Con l'avvento delle reti fognarie, per fortuna, fu eliminato questo puteolente mestiere.

Una figura popolare era quella del LATTARO, passava di primo mattino con le mucche o con le capre. Il suo arrivo era salutato dal suono delle campanelle. La gente "acalava 'o panaro" con una bottiglia e, al momento, egli mungeva e dava nel paniere il latte ancora caldo. Io ricordo un lattaro che portava un gruppo di "crapuscelle". Sotto al braccio aveva una bottiglia di cioccolato. Dava la voce di richiamo, che era: "V'aggio purtato 'a ciucculata e 'o llatte d' 'a craparella". Oltre ai lattari ambulanti, è da ricordare che in piena città c'erano fino agli anni cinquanta forse, delle piccole stalle, dal caratteristico odore, dove si andava a comprare il latte che veniva munto al momento.


(clicca per la seconda parte) (clicca per la quarta parte)

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