Già, perché l'alta e media borghesia,
che detiene la proprietà delle terre, che
controlla i commerci e che esercita le
professioni cosiddette liberali, si associa
immediatamente ai nuovi potenti in
questa opera di
repressione
linguistica,
imponendo
al popolo
questo ulteriore sopruso
allo scopo di consolidare il proprio
status sociale e i vantaggi che ne derivano.
D'altra parte, venendo in particolare
alla lingua napolitana, questa è la lingua
parlata dai Sovrani di Casa Borbone,
che, a cominciare da Ferdinando I
e diversamente da precedenti monarchi,
sono dei Re nazionali, sono e si
sentono napolitani; il che li lega indissolubilmente
al popolo, che sviluppa
nei loro confronti uno spiccato senso
di appartenenza,
emblematicamente
riassunto
nel grido
"Viva 'o rre
nuosto!" ,
opposto a chi
sì schiera
con il re piemontese,
avvertito
come
"altro",
come straniero,
parlante
un
idioma
incomprensibile
e tuttalpiù il
francese.
La borghesia medioalta,
invece, diviene – per
le ragioni anzidette - un alleato formidabile
dei piemontesi in quest'opera di
omologazione linguistica, che utilizza
precipuamente la scuola come strumento
di diffusione della lingua toscana,
prontamente ribattezzata "italiana".
Nascono così espressioni che si sentono
ancora oggi ripetere, da parte di tanti
maestri, insegnanti e genitori, ali'indirizzo
di bambini e ragazzi che, nonostante
tutto, parlano napolitano: "Parla
bene!", "Non si parla in napoletano!",
"Non parlare in dialetto!", "Parla pulito!"
e via dicendo.
L'abiura della lingua napolitana da
parte dei ceti medio-alti ha avuto, inoltre,
come logica conseguenza, che solo
la piccola borghesia e le classi popolari
abbiano continuato ad usarla sino ai
giorni nostri come lingua madre, sia
pure frammista a vocaboli d'importazione
toscana e, più di recente, angloamericana.
Si pensi, ad esempio, ai contesti
in cui Eduardo De Filippo
ambienta le proprie commedie ed al
linguaggio (un misto di napolitano e di
"pulito"), che fa utilizzare ai propri
personaggi.
Dal che è derivata una visione
dispregiativa del napolitano, inteso
come lingua del volgo e, come tale,
non usabile dalle persone perbene.
In aggiunta a quanto detto, la cosiddetta
unità ha comportato l'imposizione
di modelli del tutto estranei alla cultura
dei cittadini del Regno delle Due
Sicilie, quali ad esempio:
1) l'adozione nella pratica amministrativa,
e negli elenchi nominativi
militari, scolastici et similia del criterio
alfabetico basato sul cognome, in
luogo di quello onomastico, sempre
usato in precedenza ; si pensi che a tale
criterio era informato persino il Catasto Onciario, la grande riforma fiscale
voluta nella prima metà del Settecento
dal Re Carlo di Borbone, Catasto nell'ambito
del quale gli elenchi dei "cittadini
contribuenti" di ciascuna Università
o Comune sono ordinati in base
ai rispettivi nomi di battesimo, non ai
cognomi;
2) l'introduzione dì una compitazione
quasi esclusivamente basata su nomi
di città centrosettentrionali ("A" come
Ancona, "B" come Bergamo, "C" come Como...), fino alla paradossale
associazione della lettera "D" ad uno
sconosciuto paese della Val d'Ossola,
Domodossola. che da quel momento ha
acquisito una sia pur nominale notorietà,
rimanendone peraltro ignota ai più
l'esatta ubicazione.
L'ostracismo decretato per fini unitari
nei confronti della lingua napolitana
ha prodotto, infine, un'inevitabile
damnatio memoriae, che ha travolto
tutto ciò che questa lingua, sul piano
poetico, prosastico, letterario in genere,
aveva prodotto nel corso di molti
secoli.
per la seconda parte dell'articolo