Dopo questo excursus puramente
esemplificativo della notevole produzione
letteraria in lìngua napolitana nei
secoli precedenti l'ottocento, torniamo
al discorso iniziale ed osserviamo
come proprio a partire dagli anni in cui
il nostro Regno perde l'indipendenza,
vede saccheggiate le proprie risorse
economiche e finanziarie, costretta
al'emigrazione una gran parte della
popolazione, si assiste alla nascita di
una vera e propria poesia napolitana,
pienamente autonoma rispetto ad altre
correnti letterarie dell'epoca, il cui
massimo esponente è Salvatore Di
Giacomo (Napoli, 1860 -1934), autore
di componimenti poi diventati canzoni,
come A Marechiaro, Era de maggio, 'E spingule francese e di numerosi
drammi, il più famoso dei quali è
senz'altro Assunta Spina.
Ma accanto
a Di Giacomo troviamo numerosi altri
poeti, quali Ferdinando Russo, Roberto
Bracco, Libero Bovio, Rocco Galdieri,
Ernesto Murolo e Giovanni
Capurro, autore di 'O sole mio, musicata
da Eduardo Di Capua e conosciuta
in tutto il mondo.
Nell'introduzione alla sua Antologia
dei poeti napoletani (1973) Alberto
Consiglio afferma testualmente: "...la
nazione napoletana compie, dopo la
sua morte politica, il suo più grande
alto di vita: inventa una poesia, determina
una letteratura.".
Già alcuni secoli prima, l'umanista
Lorenzo Valla (Roma, 1407-1457)
aveva sostenuto l'autonomia della lingua
rispetto al potere politico, affermando
che lingua e cultura superano la
durata delle organizzazioni politiche e
statali, la cui nascita e la cui scomparsa
sono originate da mutevoli rapporti
di forza.
In effetti, questo è lo specchio della
situazione determinatasi a seguito della
cosiddetta "unità d'Italia": a fronte
di un'unificazione meramente politica,
calata dall'alto, senza effettiva partecipazione
delle popolazioni conquistate,
l'identità della nazione napolitana si
esprime attraverso la sua lingua, che
genera poesie e canzoni, che - grazie
anche ai tanti nostri emigranti - avranno
fama in tutto il mondo.
Nello stesso periodo inizia a svilupparsi
il moderno teatro in lingua napolitana,
grazie ad autori-attori del calibro
di Antonio Petito, insuperato interprete
petta. che porta al successo la maschera
di Felice Sciosciammocca. Seguiranno
nel tempo i fratelli De Filippo,
Raffaele Viviani, Antonio De Curtis, in
arte Totò, e negli anni a noi più vicini
Annibale Ruccello e Massimo Troisi,
questi ultimi, purtroppo, entrambi prematuramente
scomparsi.
Non possiamo non ricordare, parallelamente,
anche il teatro in lingua
siciliana. Lo stesso Luigi Pirandello (Agrigento, 1867 - Roma, 1936), vincitore
del premio Nobel per la letteratura
nel 1934, non sì sottrae all'esigenza
di esprimersi nella sua lingua madre
e scrive nel 1916 una commedia per il
grande attore Angelo Musco (Catania,
1871- Milano, 1937), suo conterraneo,
'A birritta cu 'i cìancianeddi, cui
seguirà nel 1918 la versione in italiano,
intitolata Il berretto a sonagli, in
tempi più recenti trasposta in napolitano
e rappresentata anche da Eduardo De
Filippo.
La stessa canzone napolitana mantiene
tuttora una costante vitalità, che
si manifesta sia col recupero delle più
aulentiche tradizioni popolari, curato
negli ultimi decenni dalla Nuova Compagnia
di Canto Popolare sotto la guida
sapiente di Roberto De Simone, ma
anche da cantautori come Eugenio
Bennato e Teresa De Sio, sia con nuove
forme di espressione canora che
coniugano la lingua napolitana con ritmi
musicali d'importazione: basti pensare
a Renato Carosone, a Pino Daniele, a gruppi musicali come gli Almamegretta,
i Co'sang, i Fuossera.
La complessità dell'argomento
richiederebbe tempi ben più lunghi.
Concludo, pertanto, osservando che la
difesa dell'identità della nazione napolitana
non può prescindere dalia difesa
della propria lingua: il napolitano è e
deve essere considerato a tutti gli effetti
una lingua che, pur nella diversità
delle sue sfumature ed inflessioni, è
tutt'oggi parlata da circa undici milioni
di persone, in un'area che comprende
l'Abruzzo, il Molise, il basso Lazio, la
Campania, la Lucania, la Puglia e la
Calabria settentrionale e che s'identifica
sostanzialmente con quella parte
continentale del Regno fondato da
Ruggero II d'Altavilla nel 1130 e durato
per oltre sette secoli, fino al 1861;
una lingua ampiamente documentata
sia da testi grammaticali che da vocabolari,
quali ad esempio quelli curati da
Antonio Altamura e da Francesco
D'Ascoli.
Lo stesso dicasi
per la lingua siciliana
e per quelle
parlate nel Salente
e nella Calabria
meridionale (corrispondente
alla
nostra Provincia
della Calabria
Ulteriore Prima),
che con il siciliano
presentano notevoli
affinità. Ed è
superfluo aggiungere
che il napolitano
ed il siciliano
costituiscono sistemi
linguistici strettamente
apparentati
tra loro dalla
comune appartenenza
alla Romania
orientale.
Ma qual è il trattamento
che la
Repubblica italiana
riserva attualmente
alla lingua
dei nostri padri? Alla lingua che ancora
oggi, nonostante tutto, continuano a
parlare i nostri figli? Lo stesso di centocinquantuno
anni fa, quando il "Piemonte
allargato'" pianificò il genocidio
culturale, oltre che la sanguinosa
repressione, degli abitanti del Regno
delle Due Sicilie!
In base all'art. 6 della sua Costituzione,
entrata in vigore il 1° gennaio
1948, la Repubblica tutela con apposite
norme le minoranze linguistiche. In
applicazione di tale norma, solo nel
1999 è stata approvata la Legge n. 482,
che introduce la tutela della lingua e
della cultura di dodici minoranze definite
"storiche" ed ivi elencate: si tratta
delle popolazioni albanesi, catalane,
germaniche, greche, slovene e croate e
di quelle parlanti il francese, il francoprovenzale,
il friulano, il ladino, l'eccitano
e il sardo. Nulla si dice dei
napolitani, dei siciliani, dei veneti,
degli emiliani, dei liguri, le cui lingue
restano per il vigente ordinamento
confinate nel "ghetto" dei dialetti,
come tali escluse da ogni riconoscimento
ufficiale. Da notare, in particolare,
che la Sicilia è ancora oggi l'unica
delle cinque regioni a statuto speciale
a non vedere riconosciuta e tutelata
la propria lingua.
A fronte di ciò, l'Unesco riconosce al
napolitano la dignità di "lingua madre",
seconda solo all'italiano, quanto a diffusione,
tra quelle parlate nella penisola.
E vi sono, peraltro, delle iniziative in
taluni ambiti regionali. Ad esempio, in
seno al Consiglio Regionale della
Campania, durante l'VIII legislatura, è
stato presentato il progetto di legge n.
159/1 sulla ''Tutela e valorizzazione
della lingua napoletana", ma esso è
ancora in via di approvazione.
In definitiva, sgombrato il campo da
inesistenti questioni linguistiche, il
problema è di natura squisitamente
politica: lo Stato italiano concede la
dignità di lingua agli idiomi di chi
dispone di mezzi di pressione sufficienti
a farsi riconoscere come comunità
etnico-linguìstica distinta da quella
maggioritaria.
Sta solo a noi, dunque, batterci per la
tutela della nostra lingua, forti di una
cultura e di una tradizione plurimillenarie
che non hanno certo bisogno di
dimostrazioni.
per la seconda parte dell'articolo |