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Il ragù napoletano



Nella nostra rassegna di ricette tipiche della grande cucina napoletana non poteva ovviamente mancare il ragù, profumato protagonista domenicale delle cucine e delle tavole dei napoletani, sempre presente nelle loro riunioni familiari.

Il ragù napoletano ha goduto di un'eccezionale cassa di risonanza grazie ad Eduardo De Filippo. Eduardo (vedi la nostra pagina Eduardo e il ragù) gli ha dedicato una poesia famosissima, 'O rraù, del 1947; inoltre il ragù napoletano fa da "filo conduttore" nella commedia Sabato, Domenica e Lunedì del 1959 (poesia e commedia non hanno nulla a che vedere tra loro, a dispetto di quanto si può leggere su tanti siti internet!).

Il ragù napoletano è ancora " protagonista" in un altro film del 2002, Incantesimo napoletano, film che in maniera simpatica prende in giro la cosidetta "napoletanità".

La ricetta del ragù napoletano si differenzia decisamente da quella del ragù alla bolognese, ottimo piatto questo ma non in grado comunque di raggiungere le vette del gusto abitualmente conquistate dal nostro ragù. 


E chi, meglio della signora Iodice, titolare de “La compagnia del ragù Ristorante La Marchesella” di Giugliano, ce la poteva proporre, in un vero e proprio piccolo corso di cucina? Ecco quanto ci è stato raccontato.

Il ragù napoletano: la leggenda

Dal film Incantesimo Napoletano, due protagonisti alle prese con il ragù napoletano che pippea. Dal film Incantesimo Napoletano, due protagonisti alle prese con il ragù napoletano che pippea.


Il nome “ragù” (‘rraù, in napoletano), se si vuole andare a ricercare la sua etimologia, discende probabilmente dal francese ragout (stufato, spezzatino), e ciò non deve meravigliare, note le tante commistioni tra la cucina tradizionale napoletana e quella francese; ma i napoletani, quasi a impadronirsi della ricetta anche da un punto di vista storico, hanno con il tempo dato vita a una leggenda che pone la nascita del ragù napoletano nel cuore del centro storico di Napoli.
La leggenda narra, infatti, che alla fine del 1300 esisteva a Napoli una compagnia religiosa, la Compagnia dei Bianchi, i cui seguaci percorrevano le strade della città esortando la popolazione a “misericordia e pace”, abbandonando i vecchi rancori. I Bianchi bussarono anche alla porta del "Palazzo dell'Imperatore", tuttora esistente in via Tribunali, che fu dimora di Carlo, imperatore di Costantinopoli e di Maria di Valois, figlia di re Carlo d'Angiò. All'epoca il palazzo era abitato da un nobile signore, tanto ricco quanto crudele e arrogante, che scacciò in malo modo i predicatori, né cedette ai loro inviti ad abbracciare un nuovo modello di vita, anche quando il figlioletto di tre mesi, in braccio alla balia sfilò le manine dalle fasce e alzandole al cielo gridò tre volte: "Misericordia e pace!".
Ma la Provvidenza, per mostrare agli occhi del nobile tutta la sua malvagità e durezza di cuore, ricoprì allora di una salsa color sangue un piatto di maccheroni che la sua donna gli aveva preparato. Finalmente toccato dal prodigio, l’uomo si convertì, e vestì anch’egli il saio bianco della Compagnia. Un nuovo prodigio segnò questo cambiamento: questa volta un piatto di maccheroni si riempì di un sugo rosso sì, ma delizioso e dal profumo invitante. Il nobile decise di battezzare questa salsa così saporita con il nome del suo bambino, che si chiamava… Raù.

Il ragù napoletano, la ricetta


Gli ingredienti


Olio extravergine
2 cipolle medie tipo dorato (non le bianche)
1 Kg di gamboncello di vitello
1 braciola di carne da preparare in anticipo (una fetta di circa 150 grammi di carne bovina, tipo colarda o palettina; per l'imbottitura 1 spicchio d'aglio, pinoli, uva sultanina precedentemente ammollata in acqua, un ciuffo di prezzemolo non tagliato, un po' di pecorino romano)
4 tracchiolelle (circa 400 grammi)
salsiccie con finocchietto, a punta di coltello, 400 grammi
2 cotiche medie da ripulire per bene, meglio sul fuoco
2 litri di passata di pomodori S. Marzano
1 cucchiaio di concentrato di pomodoro
¼ l. di vino rosso Gragnano

La preparazione: pippiare!



Anticamente il tegame usato per la cottura del ragù napoletano era di coccio, ma attualmente, in mancanza di tegami simili, adatti a cotture prolungate (circa sei ore!), è preferibile usare un buon tegame di alluminio o rame. Si mettono a rosolare nell’olio le cipolle, spaccate a metà, e le carni, rigirandole di tanto in tanto con un cucchiaio di legno, senza bucarle, per evitare che fuoriescano i liquidi interni e che le carni si secchino.
A rosolatura iniziata, si versa il vino e lo si fa sfumare; a questo intingolo, divenuto scuro, si aggiunge prima il concentrato di pomodoro, e poi, dopo un po’, la passata. Si sala e si porta all’ebollizione: è a questo punto, si può dire, che comincia il ”rito” vero e proprio del ragù napoletano! Il fuoco va abbassato, e la salsa deve “pippiare”, come si dice a Napoli con termine onomatopeico, cioè sobollire molto molto lentamente per circa sei ore: le carni di maiale, una volta cotte, vanno sollevate dalla salsa, a differenza delle altre, che si terranno nel tegame fino a cottura ultimata.
Condire la pasta (preferibilmente candele o zite spezzate, ma anche gnocchi di patate o fettuccine all’uovo o pettole) con abbondante sugo, parmigiano o grana grattugiato, basilico fresco e… buon appetito!

p.s.: un peccato di golosità per intenditori è costituito dalle cipolle che durante la lunga cottura avranno assorbito tutti gli aromi; vanno servite con la carne!

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