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I posteggiatori napoletani


Giulio Mendozza ci accompagna in questo viaggio alla scoperta della posteggia napoletana.
Dopo averci parlato delle origini della posteggia, in questo articolo ci racconterà dei più grandi posteggiatori napoletani, a meno del più famoso, Don Antonio 'o cecato, al quale dedicherà un apposito articolo.



Ma veniamo ora ai nomi più conosciuti di posteggiatori napoletani. Il nome più celebre è quello di Enrico Caruso che sarebbe diventato il tenore più famoso al mondo.
All’età di diciassette anni Caruso cantava nei caffè e nelle trattorie. Insieme al suo amico Adolfo Narciso, nel 1891 si esibiva ai “Bagni Risorgimento” in Via Caracciolo, dove fu ascoltato dal baritono Missiano che, avendone compreso la bravura, lo affidò al maestro Guglielmo Vergine perché gli desse lezioni di canto. E questo gli fu utile. Sappiamo poi il resto!

Tra i posteggiatori napoletani celebre fu Giuseppe Di  Francesco, meglio conosciuto con il soprannome di “ ‘o zingariello”. Dovete pensare che nel 1879, trovandosi a Napoli Richard Wagner e ascoltando la voce di ‘o zingariello, ne rimase colpito per l’espressività della voce, tanto addirittura di proporgli di seguirlo.
‘O zingariello ne fu lusingato e con Wagner si portò a Bayreut. Lì, nel salotto musicale del grande Maestro era applauditissimo. Vi rimase quattro anni, ma poi fu costretto a tornare a Napoli, scacciato dallo stesso Wagner. Sapete perché? Perché sistematicamente gli metteva incinte tutte le cameriere ... Ma lui diceva, invece: “M’ero sfasteriato ‘e fa’ ‘o soprammobile”. Solo in seguito confessò la verità. A lui Di Giacomo dedicò una canzone “Ll’ortenzie” musicata da Costa. Libero Bovio scrisse per lui “Zingariello” con musica di Frustaci:

Zingariello
cantatore ‘e Pusilleco
senza voce
sapive cantà;
cielo e mare
- quanno ‘a notte era doce -
cu n’accordo ‘e chitarra
facive scetà!

Tra i posteggiatori napoletani da ricordare fu Pasquale Jovino detto “Pascale ‘o piattaro”,  detto così perché in gioventù era stato decoratore di piatti. Nato nel 1865, ebbe momenti di vera gloria. Aveva studiato con Caruso presso il Maestro Vergine. Lo prese a benvolere nientemeno che il filosofo Giovanni Bovio che gli pagò gli studi di canto e musica. Nei ristoranti di Posillipo divenne famoso. Per brevità di tempo, dirò i nomi delle principali città in cui si esibì: Berlino, New York, Pietroburgo dove, addirittura, mentre cantava nei ristoranti, fu chiamato a Corte dallo Zar Nicola II il quale si divertì un mondo nell’ascoltare la canzone “ ‘A risa” di Cantalamessa. Ebbe modo di essere apprezzato da Francesco Giuseppe, Gustavo di Svezia che gli chiese un bis ed Umberto I. Al Quirinale la Regina Margherita, per il troppo ridere nell’ ascoltare “ ‘A risa”, rischiò di cadere dalla poltrona. Tale canzone, per fortuna, è stata salvata da un disco della Phono Electra.

Gennaro Olandese, detto “Gennarino ‘o ‘nfermiere”, tenne banco nella Birreria dell’Incoronata fin dal 1883, mentre nella Birreria Strasburgo troviamo Luigi Calienno, “ ‘o tenorino”, che aveva studiato con Vincenzo Valente. Cantava in modo ineguagliabile “Era de maggio”.

Da ricordare i Liberti, padre e tre figli. Raffaele, detto “ ‘o gattone”, era il più bravo e suonava il violino. Intorno al 1888 si aggiunse ai Liberti Vincenzo Righelli, detto “Coppola rossa”, rinomato per l’interpretazione di “Mariuccia”.

Pietro Mazzone, detto “ ‘o romano” nato nel 1864 e morto nel 1934, fu il primo tra i posteggiatori napoletani ad entrare in sala d’incisione.

Ricordiamo anche il cantante-chitarrista Marmorino, il mandolinista Mimì Pedullà, detto “manella d’oro”, e il violinista  Salvatore Di Maria, detto “ ‘Nchiastillo”. Inoltre, come non citare Francesco Coviello, detto “Ciccio ‘o conte”  oppure i fratelli Vezza, detti “ ‘e gemelle”, i quali – è simpatico riferirlo – eseguivano una parodia della “Malafemmena” di Totò che, lungi dall’esecrarli, li ammirò moltissimo, volendoli ascoltare più volte.

Altro nome noto di posteggiatore è quello di Vincenzo Improta, detto “ ‘a radio”.

Ma ora mi è caro ricordare Giorgio Schottler, morto da qualche anno. Anche lui ha inciso diversi dischi. Cantava con passione, il suo era un fraseggio delicato ed esprimeva nel canto una rara sensibilità. Anche il padre Raimondo era stato posteggiatore. Cantò nei teatri con Parisi e Papaccio. Era alto, slanciato. lo l’ho conosciuto con i capelli grigi, ma, da giovane, era biondo. Schottler ebbe il piacere di cantare davanti alla Regina Elena e a Vittorio Emanuele. Nella sua voce vi era una particolare incrinatura che, nel gergo, è denominata “striscio”, per cui egli riusciva ad avvolgere in un velo di tristezza le canzoni più nostalgiche. Io l’ho sentito cantare e sono testimone della sua bravura.

Un personaggio del tutto particolare è stato, nel secolo appena trascorso, Eugenio Pragliola, detto “Eugenio cu’ ‘e llente”. Egli si esibiva portando occhiali senza vetri e una bombetta e si accompagnava con la fisarmonica. Lo ricordo benissimo: quando, salendo sui “vapuncielli” delle Tramvie Provinciali, apriva il suo repertorio, moderno cantastorie, con versi, allegri e amari nel contempo, come questi:

Signurì, bongiorno eccellenze,
all’apparire della mia presenza
con insistenza
faccio appello alla vostra indulgenza
che, in conseguenza,
ne sono a conoscenza,
ca nisciuno me penza.

o con la variante:

Signurì, bongiorno eccellenze,
con insistenza
all’apparire della mia presenza
addò nisciuno me penza
faccio appello alla vostra indulgenza
e dimostratemi nu poco ‘e benevolenza.


Quando terminava il suo repertorio, chiedeva in versi scherzosi la sua richiesta di ricompensa, così:

Signure e signurine, ledi e milord,
aggiate pacienza, cacciate nu sord’.
Pe’ chi nun tene na lira ‘e spiccio,
c’è hann’ ‘a ascì ‘e bolle ‘ncopp’ ‘o sasiccio...

 

Era un improvvisatore: spesso capitava che prendeva di mira qualche viaggiatore e giù versi di sfottò.

Fu lui ad aggiungere delle strofette alla famosa canzone di Nicolardi ed E.A.Mario “Tammurriata nera”, egregiamente cantate dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare con l’aggiunta delle strofette di Don Eugenio. Chi non le ricorda?

‘E ssignurine ‘e Caperichine
fanno ammore cu ‘e marrucchine,
‘e marrucchine se vóttano ‘e l’anze,
‘e ssignurine cu’ ‘e panze annanze.

O anche quest’altra simpatica strofetta:

Aieressera a Piazza Dante
‘a panza mia era vacante,
si nun era p’ ‘o contrabbando
mo già stevo ô campusanto.

      La stessa Compagnia di Canto Popolare portò al successo la canzone “Trapanarella”, composta dal bravo “Eugenio cu ‘e llente”, che comincia così:

Trapanarella cu ‘o trapanaturo
tràpana ‘a mamma e ‘a figlia pure...

Il Pragliola, all’epoca delle sue esibizioni, non fu tenuto in conto, ma oggi pare che ci si stia accorgendo che egli, a modo suo, fu un vero artista.

Sfiziosa rappresentazione di posteggiatore americanizzato nell’abbigliamento e nella scelta delle canzoni, che, per sbarcare il lunario, scende dai vicoli accompagnandosi con la chitarra, è
Giuvanne cu’ ‘a chitarra”, canzone scritta da Oliviero e Cauzio, portata al successo da Carosone.

‘O chiammano Giuvanne cu’ ‘a chitarra
pecchè sape cantà tutt’ ‘e ccanzone:
è stato nnammurato ‘e na figliola
ca l’ha lassato mmiezu scombinato.
E porta ‘e sserenate ‘e nnammurate,
pe’ ciento lire canta “Anema e core”,
pe’ cincuciento fa l’americano,
s’arrangia ‘a ‘mpapucchià “Johnny Guitar”.
‘O chiammano Giuvanne cu ‘a chitarra
e pare ‘o pazzariello d’ ‘e canzone!


Oggi non sono molti i posteggiatori. Molti napoletani conoscono un mandolinista di strada che canta con passione, è discreto, non chiede. Si tratta di Alfredo Imparato. Il sabato mattina è davanti alla libreria “Guida” a Port’Alba ed ha altri posti fissi come piazza Medaglie d’Oro o davanti Palazzo Reale. La gente lo ascolta volentieri e, a volte, lascia cadere una moneta nell’astuccio del mandolino…    
Un gruppo veramente efficace e molto valido professionalmente è quello che fa capo a Gianni Quintiliani, il quale ha una voce possente, ma che sa essere carezzevole e dolce, con quelle giravolte sapientemente esibite quando la canzone lo richiede.
È accompagnato da un trio veramente esemplare. Si pensi, in modo particolare, al violino che Gigi Salvati suona con maestria senza pari, come pure al mandolino che trilla, sicuro, tra le dita di Franco Fucci, o alla chitarra che Antonio De Santis sa carezzare con maestria.

 Cosa dire in conclusione? Io credo che la posteggia debba occupare un posto ancor più importante rispetto a quanto, nella storia della canzone napoletana, si dice di lei. Il posteggiatore ha contribuito e contribuisce a dare di Napoli un’immagine non sofisticata, ma genuina e verace.
Desidero accomiatarmi dai miei lettori con quanto scriveva anni addietro quel grande Poeta e Ricercatore che fu Ettore De Mura e che qui voglio riportare, proclamando la mia completa adesione alle sue, purtroppo, inascoltate parole:

"In una lettera del 31 agosto 1896, il critico Saverio Procida ammonisce burlescamente il musicista Carlo Clausetti, direttore della sede di Napoli di Casa Ricordi, perché, nonostante il fervore che sta riponendo nella compilazione di un nuovo numero unico di Piedigrotta, certamente, e ancora una volta, sarà dimenticato il maggiore artefice dei successi piedi grotteschi: il posteggiatore. E conclude: “Inizia una sottoscrizione per un monumento al posteggiatore. Tutt’i diecimila canzonettieri onde Napoli va superba aderiranno con la loro offerta. Il monumendo sorgerà allo Scoglio di Frisio. Il cantore popolare avrà la bocca aperta, lo sguardo interrogativo, quasi ad esprimere l’incertezza della scelta, e la chitarra fra le mani; quanto alla posa, non sdegnerei, se lo scultore me lo permette, quella di Gioacchino Murat d’Amendola, con più stoffa – mi raccomando! – nelle brache. E sullo zoccolo il motto: La canzone sono io! T’ho dato l’idea. Fecondala.”, ecc.
La lettera fu pubblicata in un fascicolo di ricordi e, com’era giusto, fu ritenuta per quello che era da ritenersi: uno scherzo. Ma, a ripensarci, un monumento in una bella piazza di Napoli, presso il mare di Mergellina o di via Caracciolo, magari nella Villa Comunale, a guisa di milite ignoto della canzone, il posteggiatore lo meriterebbe. Non è stato per secoli, col solo mandolino o la chitarra, quando ancora non apparteneva a gruppi organizzati, egli solo a svolgere propaganda turistica, in tutto il mondo, vantando il cielo terso, il mare azzurro e i giardini fioriti di Napoli? Un monumento al posteggiatore? Ebbene, sì! Sarebbe un atto di riconoscenza della città verso chi tanto le ha dato senza mai chiedere ricompense.




(continua...)

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