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Festival di Napoli


le ragioni della fine




Nel 1971 si estingue il Festival di Napoli, dopo quasi venti anni di vita. Problemi organizzativi, beghe e contestazioni non erano mai mancati ma il Festival, in qualche modo, era sempre sopravissuto. Gli ascolti erano buoni, qualche canzone riusciva ad avere un discreto successo discografico, diversi cantanti "nazionali" di chiara fama partecipavano a ogni edizione, e tutto questo quasi fino all'ultimo. Perché allora il Festival è finito?
Probabilmente la risposta è concreta e prosaica ma ci piace, in questa sede, tentare un'analisi più complessa addentrandoci nel costume musicale e sociale dell'epoca.
Copertina di un famoso 45 giri  di Aurelio Fierro Copertina di un famoso 45 giri di Aurelio Fierro
Cominciamo con il dire che i buoni ascolti televisivi in quel periodo non significavano molto, visto che la scelta era limitata ai soli due canali nazionali. Tutte le trasmissioni in prima serata facevano ottimi ascolti, tanto è vero che, per valutare la reale portata del programma, si ricorreva all'indice di gradimento; con un'indagine statistica si cercava di appurare se la trasmissione era realmente apprezzata o solo subita passivamente in mancanza di altro.
La valutazione, insomma, era qualitativa mentre oggi -come sappiamo- è solo quantitativa. Non conosciamo l'indice di gradimento del Festival di Napoli, ma sicuramente non poteva essere così basso da decretare la soppressione del programma. Le cause, quindi, vanno cercate altrove e cioè, come già accennato, nel costume musicale e sociale dell'epoca.
Intorno alla metà degli anni '60 la maggioranza dei cittadini italiani è giovane; è una generazione cresciuta in un relativo benessere e che ha avuto accesso, in larga parte, a un'istruzione medio - alta o superiore. Questo è il pubblico dei consumatori, a loro –ai giovani- sono destinate principalmente le grandi operazioni di mercato nella moda, nella letteratura, nel cinema, nella musica e così via. E' un pubblico affamato di novità e le novità vengono dall'estero, soprattutto da Inghilterra e Stati Uniti.   
Qual era, nel frattempo, la situazione della canzone napoletana? Quella classica era conosciutissima in tutto il mondo e, agli occhi dei più, s'identificava con la canzone italiana; tutti i cantanti italiani professionisti dovevano saper cantare anche in napoletano (si veda, in questo stesso sito l'articolo dal titolo "La lingua napoletana nella storia della musica").
Ovviamente non si poteva, però, "campare di rendita" sul repertorio classico; ci volevano nuove canzoni e il Festival di Napoli, nel 1952, nacque proprio per questo. Ora, già facendo un discorso generale bisogna riconoscere che sono poche le canzoni napoletane composte dal dopoguerra in poi che spiccano per bellezza e originalità: il repertorio di Carosone (si veda l'articolo in questo stesso sito), qualcosa di Modugno, qualcosa dei cantanti "night" (Peppino di Capri, Fred Buongusto), qualche pezzo sparso.
Ornella Vanoni al Festival di Napoli Ornella Vanoni al Festival di Napoli canta Tu si'na cosa grande
Pochissime, poi, le canzoni degne di essere ricordate tra le 400 e più presentate al Festival di Napoli in diciotto edizioni: Guaglione, Lazzarella, Vurria, Indiferrentemente, Tu si'na cosa grande, Me chiamme ammore. La stragrande maggioranza delle altre composizioni scritte negli anni '50 e '60 tende a modellarsi pedissequamente sulla canzone classica riprendendone ripetitivamente temi, argomenti, fraseggi e giri armonici.
Si gettano, insomma, le basi per quella produzione in serie basata sul "sampling" e sullo stereotipo che sarà poi tipico del cosiddetto "fenomeno neomelodico". Quando si cercava di "attualizzare" e "modernizzare" le canzoni si finiva per fare peggio inserendo in congruamente compagini di fiati, basi ritmiche e suoni elettronici dove non c'entravano per niente. Si trattava, in poche parole, di un repertorio che in gran parte sapeva di stantio e di riciclato nel momento storico in cui un pubblico, composto per la maggioranza di giovani, reclamava sorprese e novità. E 'naturale che l'interesse per la canzone napoletana abbia perso gradualmente il suo carattere nazionale per diventare sempre più un fenomeno locale a sua volta sempre più limitato a determinate fasce sociali e culturali.
La televisione, che a sua volta stava tentando di svecchiarsi, si è limitata a prendere atto di questo disinteresse; la questione, però, è marginale perché non è che il Festival di Napoli non avesse più la diretta televisiva ma si svolgesse comunque. No, il Festival semplicemente venne soppresso. Qui bisogna aprire un altro discorso che riguarda le polemiche e le contestazioni che hanno accompagnato tutte le edizioni.
Nel 1959 una parte del pubblico invade e occupa il palco del Festival manifestando violentemente il proprio malcontento; nel 1971 gli autori esclusi minacciano contestazione e boicottaggi tanto che la RAI decide di non mandare in onda la manifestazione che si svolse in un clima rovente; nel 1965, forse per non scontentare qualcuno di troppo, s'instaura una strana formula di gara che vede ben nove canzoni vincitrici. Che interessi c'erano intorno al Festival di Napoli? A questo punto viene naturale chiederselo.
Al giorno d'oggi sappiamo benissimo che la malavita si occupa fattivamente di canzoni sia in modo illegale che legale; è ragionevole supporre che anche allora ci fossero, intorno e dietro il Festival di Napoli, interessi sotterranei e ingerenze malavitose. Teniamo presente che i media dell'epoca parlavano pochissimo di mafia e camorra; l'informazione era rigida e irreggimentata molto più di oggi, visto che noi abbiamo –almeno- un certo pluralismo. Per sintetizzare le risposte alla nostra domanda iniziale possiamo dire, a questo punto, che il Festival di Napoli si è estinto per i seguenti motivi:
  • scarsa qualità delle canzoni;
  • graduale disinteresse della maggioranza del pubblico nazionale e, quindi, dei maggiori discografici;
  • interesse sempre più limitato a determinate zone geografiche e determinate fasce sociali e culturali;
  • ingerenze malavitose che rendevano sempre di più il Festival una manifestazione a rischio.


a cura di Giancarlo Sanduzzi

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