In quest'opera Antonio Luiso utilizza tutte le potenzialità espressive proprie della lingua napolitana,
della quale pone in evidenza l'immediatezza, la sinteticità (anch'essa mutuata dal latino) e la
coloritura, caratteristiche di un idioma che, attraverso i contatti e le contaminazioni che la nostra
nazione ha avuto nei secoli con molteplici culture, si è arricchito in una misura che forse ha pochi
eguali al mondo .
Per quanti non siano abituati a leggere in napolitano - e purtroppo, ve ne sono tanti, specie a causa
della scarsa conoscenza dell'ortografìa - questo testo ha l'ulteriore pregio di non presentare
particolari difficoltà.
Mi piace, a questo punto, soffermarmi brevemente su pochi passi del testo .
-Quando Gesù libera i posseduti dai demoni, impediva a questi di parlare, "...quoniam sciebant
eum." La traduzione recita "...pecche 'o sapevano buono." Vi è perfetta coincidenza nell'uso del
verbo ("scire"= "sapè").
-Quando dicono a Gesù che i suoi parenti lo cercano ("Ecce mater tua et fratres tui et sorores tuae
foris quaerunt te") l'Autore traduce, in modo questa volta più letterale rispetto al testo toscano (che
ignora le sorelle), '"O bbì ca mammeta, 'e frate e 'e sore toie stanno Ila fora e vanno cercanno a te?".
-E nell'episodio dell'emorroissa risulta impressionante l'assonanza tra il testo latino "Qui tetigit
vestimenta mea?" e quello napolitano "Chi m'ha maniato a vesta mia?" .
-E quando Gesù dice alla figlia di Giairo "Oi ne', susete?" il napolitano non usa forse un verbo
derivato dal latino "surgo", che significa anche specificamente "alzarsi dal letto" ?
-La parabola viene tradotta col termine "paraustiello", che deriva dallo spagnolo "para usted" (per
voi) e che non è di uso propriamente comune. Esso sta ad indicare un ragionamento che viene
sviluppato ad uso altrui, in modo a volte pretestuoso, per non manifestare chiaramente il proprio
pensiero .
-
Meravigliosa è poi l'espressione con la quale Luiso traduce l'espressione latina "transfiguratus est":
"...se smatamurfiaje...", dal termine "smatamurfeja" (in greco "metamorfosis").
-Nella parabola cosiddetta dei "vignaioli perfidi" la Vulgata recita "Vineam pastinavit homo...".
Luiso traduce "Nu crestiano pastenaie na vigna" : il verbo "pastenà" significa "piantare", al pari del
latino "pastino".
-Nel dialogo con i farisei l'espressione latina "scimus quia verax es" si converte in quella napolitana
"sapimmo ca si verace" .
-Quando Gesù parla ai discepoli di ciò che dovrà avvenire, precisamente dell' "abominazione della
desolazione" ("abominatio desolationis") l'Autore ricorre alla ricchezza espressiva del napolitano,
traducendo "'o scunceco d' 'a scunzulazzione" !
-E, infine, l' "expiravit", che segna il momento supremo del trapasso di Gesù crocifisso, viene
perfettamente reso nel suo significato più profondo dall'espressione "...cacciaie fora 'o spireto." .
Ringrazio Antonio Luiso per avermi consentito di leggere il Vangelo di Marco finalmente "dinto 'a
lengua nosta" e gli auguro - ed auguro a noi tutti - di poter leggere in futuro molte altre opere
tradotte in napolitano .
Massimo Cimmino