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San'Alfonso De Liguori

di Emanuela Catalano


(per la pagina dedicata a Tu scendi dalle stelle)

Di questo Santo si sente ben poco parlare,  è poco noto e poco conosciuto al di fuori di Napoli, soprattutto nel nord e nel centr’Italia. Ma è bene richiamare alla mente quest’uomo e la sua vita, una vita che può insegnarci molte cose

Santo napoletano, la cui devozione è diffusa in tutto il sud d’Italia, Sant’Alfonso Maria De’Liguori rappresenta una vera eccellenza per spiritualità, sensibilità, profondità devozionale e culturale, per le popolazioni meridionali, anche per il suo esprimersi nella lingua popolarmente diffusa nell’allora Regno delle due Sicilie, il napoletano.
Autore di un’imponente produzione di opere teologiche, ascetiche e dogmatiche, Sant’Alfonso scrisse anche numerosi testi di preghiera, divenuti riferimento assoluto per la spiritualità cattolica fino ad oggi.

Alfonso Maria De’ Liguori nacque in una nobile famiglia napoletana iscritta nella circoscrizione di Portanuova, il padre, Don Giuseppe, era Cavaliere e Ufficiale Superiore della Marina Militare, la madre, Donna Anna Maria Caterina Cavalieri, era del casato dei Marchesi D’Avenia nel brindisino.
La nascita avvenne nel palazzo di villeggiatura della famiglia, a Marianella, nel Borgo “Case Marfella”;  Marianella allora era comune a sé, mentre oggi è ormai inserita come quartiere nella città di Napoli.
Alfonso è il primogenito di quella che diverrà una numerosa famiglia con ben otto figli.
A due giorni dalla nascita, il 29 Settembre, giorno di San Michele Arcangelo, la famigliola torna in città, nel palazzo di famiglia, nel quartiere Vergini, per il battesimo del primo figlio nella Chiesa parrocchiale. Al neonato vengono imposti i nomi di Alfonso, Maria, Giovanni, Francesco, Antonio, Cosimo, Damiano, Michelangelo e Gaspare. Alfonso, Giovanni, Francesco, Antonio sono i nomi degli antenati delle due famiglie, Maria per desiderio della madre cresciuta, orfana, in un convento e  devotissima alla Madonna, Cosimo e Damiano erano i Santi del giorno della nascita, 27 Settembre, Michelangelo poiché battezzato nel giorno di San Michele Arcangelo e Gaspare in omaggio ad un altro parente.
Sant'Alfonso de Liguori Sant'Alfonso de Liguori, Napoli 1696 - Pagani 1787
Dopo il battesimo la mamma e il neonato, nelle famiglie nobiliari, ricevevano la visita di quanti volevano conoscere il bambino, primogenito della casata. Tra i molti visitatori in casa De’Liguori  vi fu anche un gesuita celebre a Napoli, che aveva conosciuto per motivi di lavoro  Don Giuseppe De’ Liguori: Francesco Di Girolamo. Questo Sant’uomo dedito ad un servizio di apostolato tra i vicoli della vecchia Napoli alla ricerca di prostitute da redimere ed aiutare, col conforto delle reliquie di San Ciro, i più deboli e bisognosi. Egli, vedendo il bambino, fece una profezia: il neonato avrebbe avuto una vita lunghissima, oltre i novant’anni, che sarebbe diventato Vescovo e che avrebbe onorato la Chiesa.
Queste parole furono udite solo dalla madre, che le serbò sempre segrete nel suo cuore, e che confiderà solo molti anni dopo al biografo di Sant’Alfonso, il Padre Redentorista Antonio Maria Tannoia che si dedicò a raccogliere le testimonianze di quanti avevano conosciuto e frequentato Sant’Alfonso, e pertanto ci ha lasciato del fondatore della Congregazione Redentorista una biografia completissima ed essenziale per conoscerlo e studiarlo.
Questo primo figlio maschio fu da subito affidato a prestigiosi precettori privati di grande levatura, tra i quali si annovera anche Francesco Solimena, noto pittore.
Le materie di studio comprendevano: latino, greco, filosofia, scienze matematiche; le lingue colte dell’epoca: francese, spagnolo, fiorentino; ed anche altre discipline prettamente nobiliari come scherma, caccia ed equitazione ed infine discipline artistiche come musica, disegno, pittura ed architettura.
E’ bene ricordare che il padre, Don Giuseppe, era molto portato alla musica, si dilettava di suonare il clavicembalo e non appena ebbe certezza delle forti inclinazioni musicali del piccolo Alfonso gli trovò un maestro di musica e lo fece esercitare tre ore al giorno per molti anni, sempre con eccellenti maestri.
Anche la disponibilità artistica verso la pittura gli fu riconosciuta dal padre che lo condusse con sé a prendere lezioni dal Maestro Francesco Solimena che era stato anche suo Maestro.
A proposito della musica si devono ricordare alcuni aneddoti, don Giuseppe era desideroso di sposare queso figlio primogenito e lo conduceva con sé nelle riunioni mondane delle famiglie nobiliari napoletane dove Alfonso era letteralmente assedieto dalle giovinette che desideravano sentirlo suonare, era infatti un ottimo esecutore, di spiccata sensibilità, o di farsi accompagnare da lui mentre si esibivano cantando.
Un fancobollo delle Poste Italiane dedicato a San'Alfoso de Liguori Un fancobollo delle Poste Italiane dedicato a San'Alfoso de Liguori
La naturale propensione per la musica e le ore di studio crearono in Alfonso un sensibile musicista, eccellente esecutore e compositore di musiche. Lo stesso Santo ebbe ad osservare che quella profonda cultura musicale curata dal padre, nella vita gli fece molto male, poiché spesso la musica è mal eseguita.
L’educazione nel campo culturale fu sempre sorretta da una robusta educazione religiosa impartita dalla famiglia.
Precoce e brillante negli studi di ogni disciplina, a soli 12 anni, nel 1708, si  iscrive all’università Partenopea, dopo essere stato esaminato dal grande Filosofo e storico Giovan Battista Vico (1668/1744) e solo quattro anni dopo, nel 1713, consegue il dottorato in “Utroque iure”, diritto canonico e civile.
Per iniziare l’esercizio della professione forense a Napoli, avendo soli sedici anni, deve chiedere  una dispensa al Vicerè,  divenendo presto uno dei più noti e rinomati giureconsulti della capitale. Non perde processi per otto anni.
Durante questi anni giovanili, accompagnato dal padre partecipa alla vita mondana della Napoli aristocratica. Essendo il primogenito il padre lo aveva predestinato alla continuazione della casata e progettava per lui un importante matrimonio.  Ma sempre nell’ambito di questa educazione impartitagli direttamente dal padre, partecipando ai ritiri della Settimana Santa con i Gesuiti della Conocchia, Alfonso fu attratto irresistibilmente dall’amore divino, tanto da fare voto di castità, cosa che fece naufragare tutti i progetti matrimoniali architettati dal padre.
Già la solerzia eccezionale negli studi e nel lavoro dà una lettura precisa del profilo superiore dell’uomo, egli, fin da giovanissimo, aveva fatto voto di non  permettersi alcuna inutile perdita di tempo e porterà sempre con sé questo proposito, fino alla morte.
Dal 1715 inizia a frequentare e poi si aggrega alla Pia Unione, o Confraternita, dei Dottori dell’Oratorio dei Filippini, assumendosi l’incarico di visitare ed assistere i malati nel più grande ospedale di Napoli, oncor oggi detto degli Incurabili (clicca per il nostro articolo).
Fu in questo modo che venne a contatto con la triste realtà dei poveri e degli abbandonati senza speranza, accrescendo in lui il proponimento di non aver in mente altro che Dio.
Decise, in quest’ottica, di rinunciare ai diritti legati alla primogenitura, in favore del suo fratello più giovane, l’ultimo maschio della famiglia, Ercole.
A ventisette anni, dopo una dolorosa sconfitta professionale che incrina la sua fiducia morale  nella  disciplina forense e nell’incorruttibilità dei giudici, in una causa internazionale dove era interessato l’Imperatore Carlo VI, deluso dalla palese corruzione dei magistrati, matura in lui  la vocazione sacerdotale, già propostasi nella prima giovinezza col voto di castità già ricordato.
Tagliata di netto l’attività professionale si  dedica anima e corpo alla preghiera, allo studio della vita dei Santi e alle visite agli Incurabili, senza tener conto della disapprovazione del padre che sperava, almeno, nel ritorno alla professione forense.
Il 29 Agosto 1723 , ritenuto in seguito da Alfonso il giorno della conversione conferma questa decisione deponendo lo spadino di cavaliere davanti alla Statua della Madonna nella piccola Chiesa della Mercede, promettendo di entrare tra i Padri dell’Oratorio dei Filippini.
Egli stesso dice di essere stato colpito in quel giorno da una gran luce avvertendo nel contempo una voce nel cuore che diceva: “Lascia il mondo e datti tutto a me”.
Il 24 Ottobre 1724 entra come novizio nella Congregazione delle Apostoliche Missioni  e il 21 Dicembre 1726, all’età di trent’anni,  sarà ordinato sacerdote.
Data la strenue opposizione del padre alla sua vocazione, non entra nella Congregazione dell’ Oratorio, accontentandosi di diventare Sacerdote Diocesano con residenza nella casa paterna. L’esercizio del sacerdozio è però svolto ad ampio raggio, non limitandosi a predicare nei luoghi sacri ma anzi cercando  e raccogliendo i fedeli più umili e smarriti, a cui spiegava il vangelo con modi semplici, organizzando riunioni serali : le “Cappelle Serotine”, inizialmente osteggiate tanto dalle autorità civili che da quelle religiose, ma che, anche grazie alla sua pesonale caparbietà e alla forte volontà dei fedeli, furono infine approvate dal Cardinale Francesco Pignatelli.
L'urna di Sant'Alfonso de Liguori Basilica di Pagani : l'urna di San'Alfonso de Liguori
Le “ Cappelle Serotine”consistevano nel raduno serale, al suono dell’Angelus, nelle vie e negli “slarghi” dei quartieri più poveri della città, per consentire agli abitanti dei bassifondi, i cosiddetti “lazzari”, ma anche ad operai, artigiani e servitori di casa, di riunirsi la sera per partecipare alla preghiera e parlare di Dio.
Nel 1730 fu inviato nel salernitano, in convalescenza dopo una malattia polmonare, visitò così località come Scala e Revello che rimarranno per lui sempre luoghi cari.
Anche in queste occasioni non tralasciò la sua predicazione verso gli umili, soprattutto   contadini e pastori, proprio ad Amalfi incontra dei pastori delle montagne sovrastanti quella località, e constatando il loro profondo abbandono umano e religioso, sente la necessità  di rimediare ad una situazione che lo scandalizza come sacerdote e come uomo colto del secolo dei lumi.
A seguito del terremoto del 20 Marzo 1731, fu inviato in Puglia, ad arginare il conseguente sbandamento dei fedeli che si allontanavano dalla Chiesa.
Proprio in Puglia, in un secondo viaggio, chamato dallo zio materno Vescovo di Foggia per predicare, il 30 novembre 1735 avviene  un fatto ritenuto una delle manifestazioni della sua santità: mentre predicava nella Basilica di San Giovanni Battista,  a Foggia, fu avvolto da un fascio di luce e visto levitare da terra da tutta la folla dei fedeli radunatasi nella chiesa per la predica.
Questa levitazione, della durata di un’ora, fu provocata dall’estasi nella contemplazione della tavola di Nostra Signora dell’Icona Vetere o Madonna dei Sette Veli, la più antica immagine della Vergine conservata nel capoluogo pugliese.
Come ricorderà la stesso Alfonso De’ Liguori nella sua testimonianza dei fatti resa nel 1777: Il volto della Vergine appariva chiaramente dall’ovale della tavola ed egli fu attratto irresistibilmente dal volto di Maria. In memoria dell’esperienza vissuta volle fosse dipinto un volto della Madonna, così come lo aveva veduto, suggerendo l’immagine all’amico pittore De Maio; attualmente il dipinto è conservato a Ciorani nel salernitano, in una delle Case dei Redentoristi. Anche una delle vetrate della Cattedrale ricorda questo “avvenimento inspiegabile”, soggetto anche di un dipinto conservato sempre nella Basilica di Foggia.
Uno dei tanti segni dell'immensa devozione del Sud nei confronti di Sant'Alfonso de Liguori Grande è la devozione nei confronti di Sant'Alfonso de Liguori
Dal 1732 Sant’Alfonso si sposta definitivamente da Napoli con alcuni compagni sacerdoti e, sotto la guida del Vescovo di  Castellammare di Stabia, si reca prima  a Scala per giungere poi a Villa degli Schiavi, l’antica Sclavia* 1, nella diocesi di Caiazzo, oggi “Liberi” (per Regio decreto del 24 Agosto 1862) (Caserta).
Qui esplode la prorompente spiritualità di questo Santo che,  proprio in questi luoghi fonda, nel 1734, la  Congregazione del Santissimo Salvatore, approvata  poi nel 1749 da Papa Benedetto XIV, come Congregazione del Santissimo Redentore per l’evangelizzazione delle campagne  e degli ambienti rurali e delle periferie delle città.
L’intento di questa Congregazione era quello di imitare Cristo, partendo dai Redentoristi stessi, i quali andavano operando per la redenzine di tante anime con missioni, esercizi spirituali e varie altre forme di apostolato straordinario.
Il Borgo di Sclavi allora non contava più di 500 abitanti, ma era in una posizione centrale tra le diocesi di Capua, Caserta, Piedimonte e Caiazzo, per cui si rivelò un punto ottimo per l’irradiazione circolare dell’azione missionaria  dei Redentoristi.
Molte furono le ostilità alla missione da parte della popolazione locale, soprattutto da coloro che vedevano in questa attività un limite ai loro interessi. Il fondatore e i suoi seguaci furono minacciati, disturbati e accusati di ogni nequizie, ma alla fine Alfonso lasciò nel piccolo alloggio attiguo alla Chiesa dell’Annunziata, avuta in uso dai Redentoristi, la testimonianza della sua missione  con cinque croci di legno che simboleggiano i Misteri Dolorosi del Rosario.

Sempre a questo inizio dell’attività della Confraternita si riconduce un altro evento straordinario: durante i lavori di costruzione dell’alloggio , una donna fu colpita alla testa da una pietra, e cadde a terra come morta; Alfonso prontamente entrò in Chiesa a pregare, finchè la donna si alzò sana e sorridente.
Durante questo soggiorno l’alacre Soldato di Cristo compone alcuni scritti tra i quali “Le Glorie di Maria” e l’inno “Quanne nascette Ninn a Bettlem”.

Successivamente  furono fondate dal Santo altre case della Congregazione Redentorista: a Ciorani, a Nocera dei Pagani, a Deliceto e a Materdomini.

Sempre tra i fatti straordinari si racconta come, Sant’Alfonso tenesse sempre un’Immagine o una Statua della Madonna accanto al pulpito, come se insieme a Lei predicasse al popolo. Una  sera, a Ciorani, durante l’omelia, guardando la Madonna, il suo viso fu colpito da un raggio di luce  che vi si rifletteva dal viso della Vergine, illuminando il Santo, tra lo stupore dei fedeli presenti.
Nonostante la testimonianza della santità del fondatore della congregazione fosse palese a tutti i Redentoristi subirono ogni sorta di affronti, tanto era forte l’opera missionaria svolta.
A Sant’Alfonso fu molto d’aiuto Monsignor Giuseppe Maria Puoti che permise alla Congregazione dei Redentoristi di giungere al Papa, il Sommo Pontefice Benedetto XIV il quale, nel 1749, approvò le regole dell’Istituto del SS. Redentore a Nocera dei Pagani.

Negli anni successivi Sant’Alfonso oltre a continuare l’opera di predicazione e le cure del suo Istituto si dedicò molto anche all’insegnamento e alla scrittura redasse in questi anni : “La Morale”e “Le Riflessioni sulla Passione”.
Nel 1762 infine  il Papa Clemente XIII lo volle elevare al rango di Vescovo ed ebbe la sua sede a Sant’Agata dei Goti (clicca per il nostro articolo) in una zona montagnosa del Beneventano, l’area episcopale era povera e bisognosa di ogni forma d’aiuto ed il Santo rispose con slancio spirituale e generosità.
Fu vescovo per tredici anni, curando la diocesi anche dal letto, come gli capitò negli ultimi anni in cui l’artropatia deformante lo aveva aggredito fortemente.
In questi anni comunque continuò il suo incarico di Rettore Maggiore della Congragazione Redentorista.
Gli agiografi pongono in questo periodo, più precisamente al 1774, un altro avvenimento straordinario, un fenomeno di bilocazione: mentre a Sant’Agata i suoi confratelli lo videro per due giorni consecutivi fermo, immobile e silente, su di una poltrona, a Roma, contemporaneamente, lo vedevano intento a confortare il Papa, Clemente XIV, che era agonizzante.
La devozione di Pagani, la città dove morì Sant'Alfonso de Liguori La devozione di Pagani, la città dove morì Sant'Alfonso de Liguori
Solo nel 1775 fu sollevato dal Papa dalle cure per l’episcopato e potè ritirarsi nella casa redentorista di Nocera dei Pagani dedicando gli ultimi anni, benchè all’artropatia si accompagnasse un gravissimo deficit visivo, alla redazione di opere di grande respiro: la Traduzione dei “Salmi”, “Le vittorie dei Martiri”, “La Condotta della Divina Provvidenza in salvar l’uomo per mezzo di  Gesù Cristo”, “Le Dissertazioni teologiche e morali appartenenti alla vita eterna”, e l’ultimo opuscolo dal titolo “Ricordi diretti alle Religiose del SS. Redentore”
Il 25 Novembre 1785 celebrò la sua ultima messa, ormai gravemente ammalato e all’età di 89 anni compiuti attendeva impazientemente la morte per unirsi completamente  Gesù.
Nutrendosi quasi esclusivamente di preghiere ed Eucarestia, circondato dall’affetto e dalle preghiere devote dei confratelli redentoristi, morì  poco prima di compiere i 91 anni, il 1°Agosto 1787, contemplando il volto della Vergine.
L’attualità di questo Santo consiste nel fatto che, pur contrastando il relativismo morale e riconoscendo la Chiesa Cattolica come suprema maestra, diede spazio alle “voci interiori della coscienza” e mantenne una posizione di equilibrio e di pratica prudenza tra i due estremi del rigorismo e del lassismo.
Questo è quanto si percepisce spesso nelle sue molteplici opere di ascesi o di meditazione, soprattutto nella “Teologia Moralis”universalmente ritenuta la sua opera più importante.

L’iter della sua beatificazione inizia solo nove mesi dopo la sua morte e Pio VII, nel febbraio del 1807, nel ventennale della scomparsa, ne definisce l’eroicità delle virtù e il 15 Settembre 1815 lo proclama Beato.
Canonizzato nel 1839 e proclamato da Pio IX Dottore della Chiesa nel 1871, viene assegnato, nel 1950, come  Celeste Patrono dei confessori e moralisti.


Emanuela Catalano, artemanuela.it

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