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La nascita del Monte nuovo


La catastrofica eruzione del 29 settembre del 1538


In questo articolo Alfonso Farina ci racconta come sia nato il Monte Nuovo durante l'eruzione del 29 settembre 1538. Mai nome fu quindi più indovinato di quello asseganto a questo vulcano, da considerare, quindi, un vero e proprio neonato!

Gli argomenti:


I laghi d'Averno e Lucrino e il porto romano di Baia

La nascita del Monte Nuovo: in questa foto si può apprezzare l'incredibile insieme costituito dal  Monte Nuovo, dai due laghi  d'Averno e  Lucrino, ancora il Lago Fusaro e, tutto intorno, il mare!La nascita del Monte Nuovo: in questa foto si può apprezzare l'incredibile insieme costituito dal Monte Nuovo, dai due laghi d'Averno e Lucrino, ancora il Lago Fusaro e, tutto intorno, il mare!


I laghi d'Averno e di Lucrino, secondo gli storici, divennero parte integrante del porto Giulio quando l’imperatore Augusto, decidendo di approntare una flotta destinata a difendere, una buona volta e per sempre, il mar Tirreno dai pirati che l’infestavano impunemente, diede ordine a Marco Vipsanio Agrippa, suo fraterno amico, valoroso generale ed eccellente uomo politico, di costruire presso Baia un porto, facendo in modo che il mar Tirreno penetrasse nei due laghi, poco distanti tra loro.       
Agrippa, dopo aver fatto sradicare tutti gli alberi che circondavano il lago d’Averno, munì tutta la via Erculea, che separava il mare dal lago di Lucrino, di numerose costruzioni che a guisa di molo, si opponessero al mare nei momenti di burrasca, facendo sì che non fosse turbata la tranquillità delle acque di quel porto, cui Augusto volle dare il nome di Giulio, in onore di Giulio Cesare.
Virgilio, nel II libro delle Georgiche, scrisse queste parole, in occasione della costruzione di questo porto:
An memorem portus, Lucrinusque addita claustra,
atque indignatum magnis stridoribus aequor;
Iulia qua ponto longe sonat unda refuso;
Tyrraenusque fretis immittitur aestus Avernus
.

e cioè:

Forse farò menzione del porto e delle barriere aggiunte al lago di Lucrino e del furore del mare là dove, forzato a tenersi ben lontano, l’onda giulia freme e le acque del mar Tirreno si mescolano con quelle dell’Averno.

Anche Orazio, nell’Arte Poetica, fa cenno a questo porto, cantando:

Debemur morti nos nostraque: sive receptus
terra Neptunus classis aquilonibus arcet;
regis opus sterilisve diu palus, aptaque remis,
vicinas urbes alit, et grave sentit aratrum.


vale a dire che:

Noi siamo soggetti alla morte alla stessa stregua delle nostre opere: sia che il mare, chiuso dentro terra, tenga lontano le flotte dal vento di tramontana mediante un’opera regale, sia che un terreno paludoso, per lungo tempo sterile e atto ad essere attraversato, alimenti le vicine città e conosca il pesante aratro.


La nascita del Monte Nuovo

Questo porto, tuttavia, nonostante fosse abbastanza mal ridotto, si era conservato fino al 1538, quando la terribile e inattesa eruzione di quell’anno, oltre a formare un nuovo monte (per l'appunto, il Monte Nuovo), riempì con le sue ceneri e i suoi lapilli, i laghi di Lucrino e d’Averno, ma anche un vasto spazio di cui, una gran parte, fu occupata dal nuovo monte e la restante, compresa fra questi due laghi, li separò nuovamente e fece sprofondare nel mare tutte quelle barriere che l’imperatore Augusto aveva fatto erigere.
Ed ecco la cronaca di quei fatti che portarono alla nascita del Monte Nuovo::
Il Monte Nuovo Il Monte Nuovo

era circa l’una di notte del 29 settembre del 1538 ed era appena passata la domenica, quando gli abitanti della zona furono improvvisamente svegliati da un potentissimo boato. Ancora assonnati e al colmo dello spavento, corsero fuori delle case per rendersi conto di cosa stesse accadendo.
Lo spettacolo che si presentò agli occhi atterriti di quei poveretti, fu assai impressionante. Altissime lingue di fuoco si elevavano verso il cielo, da una fenditura che si era prodotta fra la località di Tripergola e il lago d’Averno.
Lo spettacolo era, nello stesso tempo, affascinante e spaventoso. Sembrava che le porte dell’inferno si fossero improvvisamente spalancate. Dalla voragine che si era venuta a creare, là dove era comparsa una grossa fenditura, scaturiva un’enorme quantità di ceneri e di massi, frammisti ad acqua, che si riversarono fino alla vicina Napoli.
Il giorno seguente, gli atterriti abitanti della zona, visto che il tremendo fenomeno non accennava minimamente a finire, né a diminuire di intensità, decisero di abbandonare le loro case che, man mano che passava il tempo, andavano coprendosi di una spessa coltre di fango mista ad acqua, che continuò a riversarsi copiosa per l’intera giornata.
La maggior parte dei fuggitivi portava con sé una gran quantità d’uccelli che l’eruzione aveva fatto perire fin dall’inizio a causa dei gas sprigionatisi dalle fenditure del terreno, e di pesci che erano stati raccolti sulla spiaggia, dopo che il mare, ritiratosi, l’aveva lasciata in secco, e che si andava man mano riempiendo di ceneri e degli enormi massi, lanciati dall’eruzione.
Proprio al centro, dove aveva avuto inizio il fenomeno, era scaturita una sorgente d’acqua dolce che si trasformò poi in un piccolo ruscello. Montagne di fumo, nerissimo a volte e, tal altra, bianchissimo, s’innalzava a grand’altezza, mentre, di tanto in tanto, nel mezzo del fumo, apparivano fiamme di colore diverso, accompagnate dal lancio d’enormi massi e da una fittissima pioggia di ceneri e di lapilli, mentre un boato, simile a numerose scariche d'artiglieria, rompeva il sinistro silenzio che si era venuto a creare in seguito al terribile evento.
L’eruzione durò tre giorni e due notti e fino a quando il fuoco e il fumo diminuirono di intensità. Nel quarto giorno, il giovedì, si ebbe una recrudescenza assai violenta del fenomeno, tanto che il fuoco e il fumo, riprendendo a fuoriuscire con più lena, si estesero verso il mare.
Era tanta la quantità di cenere, di massi e di fumo, che sembrò quasi che la terra e il mare ne dovessero essere coperti. Grandi e piccoli massi, le ceneri abbondantissime, secondo la forza di espulsione del fuoco e dei gas, cominciarono a cadere, così abbondantemente, che buona parte del territorio, ne fu coperto e le ceneri che scaturirono arrivarono, addirittura, fino al Vallo di Diana e persino in alcune zone della Calabria.    
Nel venerdì e sabato successivi, non comparve che poco fumo di modo che molte persone, passato alquanto lo spavento, si recarono fin sul luogo dove era avvenuta l’eruzione e raccontarono poi che i massi e le ceneri precipitati in quella località, avevano formato un monte la cui altezza eguagliava quasi quella del monte Barbaro che gli era accanto e che avevano coperto tutti gli edifici, quelli recenti e i resti delle numerose costruzioni che, nonostante gli anni, ancora si osservavano attorno al lago, prima del terribile evento, e che erano completamente scomparsi.
Nella domenica seguente, 6 ottobre, molte persone notando da lontano il nuovo monte sorto così, per magia, assai incuriosite da quella novità, vollero recarsi a vedere più da vicino il fenomeno e alcune di loro si avventurarono incoscientemente fino alla metà del nuovo monte mentre altre, addirittura, si avvicinarono fin quasi alla cima, quando, senza alcun preavviso, vi fu una nuova eruzione, così tremenda e con l’emissione di una gran quantità di fumo misto a gas, che molti di quegli infelici ne furono soffocati, mentre altri sparirono, e non furono mai più ritrovati. Secondo le notizie del tempo, i dispersi ammontarono a ventiquattro persone.
Da allora ad oggi, nella zona del Monte Nuovo, null’altro di importante è avvenuto.
A proposito poi del monte Barbaro, al cui fianco nacque in poche ore e dal nulla, il nuovo monte, secondo quanto riportato da vari autori, fra cui Cicerone, Livio, Plinio, Silio, Siconio, Apollinare ed altri, anticamente fu molto fertile in viti, da cui si ricavava un ottimo vino. Divenuto in seguito in gran parte sterile, il volgo gli sostituì l'antico suo nome Gauro, che era stato un tempo anche un vulcano attivo, in quello di Barbaro.

 

(tratto da I laghi d'Averno e Lucrino e la nascita del Monte nuovo di Alfonso Farina)


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