era circa l’una di notte del 29 settembre del 1538 ed era appena passata la domenica, quando gli abitanti della zona furono improvvisamente svegliati da un potentissimo boato. Ancora assonnati e al colmo dello spavento, corsero fuori delle case per rendersi conto di cosa stesse accadendo.
Lo spettacolo che si presentò agli occhi atterriti di quei poveretti, fu assai impressionante. Altissime lingue di fuoco si elevavano verso il cielo, da una fenditura che si era prodotta fra la località di Tripergola e il lago d’Averno.
Lo spettacolo era, nello stesso tempo, affascinante e spaventoso. Sembrava che le porte dell’inferno si fossero improvvisamente spalancate. Dalla voragine che si era venuta a creare, là dove era comparsa una grossa fenditura, scaturiva un’enorme quantità di ceneri e di massi, frammisti ad acqua, che si riversarono fino alla vicina Napoli.
Il giorno seguente, gli atterriti abitanti della zona, visto che il tremendo fenomeno non accennava minimamente a finire, né a diminuire di intensità, decisero di abbandonare le loro case che, man mano che passava il tempo, andavano coprendosi di una spessa coltre di fango mista ad acqua, che continuò a riversarsi copiosa per l’intera giornata.
La maggior parte dei fuggitivi portava con sé una gran quantità d’uccelli che l’eruzione aveva fatto perire fin dall’inizio a causa dei gas sprigionatisi dalle fenditure del terreno, e di pesci che erano stati raccolti sulla spiaggia, dopo che il mare, ritiratosi, l’aveva lasciata in secco, e che si andava man mano riempiendo di ceneri e degli enormi massi, lanciati dall’eruzione.
Proprio al centro, dove aveva avuto inizio il fenomeno, era scaturita una sorgente d’acqua dolce che si trasformò poi in un piccolo ruscello. Montagne di fumo, nerissimo a volte e, tal altra, bianchissimo, s’innalzava a grand’altezza, mentre, di tanto in tanto, nel mezzo del fumo, apparivano fiamme di colore diverso, accompagnate dal lancio d’enormi massi e da una fittissima pioggia di ceneri e di lapilli, mentre un boato, simile a numerose scariche d'artiglieria, rompeva il sinistro silenzio che si era venuto a creare in seguito al terribile evento.
L’eruzione durò tre giorni e due notti e fino a quando il fuoco e il fumo diminuirono di intensità. Nel quarto giorno, il giovedì, si ebbe una recrudescenza assai violenta del fenomeno, tanto che il fuoco e il fumo, riprendendo a fuoriuscire con più lena, si estesero verso il mare.
Era tanta la quantità di cenere, di massi e di fumo, che sembrò quasi che la terra e il mare ne dovessero essere coperti. Grandi e piccoli massi, le ceneri abbondantissime, secondo la forza di espulsione del fuoco e dei gas, cominciarono a cadere, così abbondantemente, che buona parte del territorio, ne fu coperto e le ceneri che scaturirono arrivarono, addirittura, fino al Vallo di Diana e persino in alcune zone della Calabria.
Nel venerdì e sabato successivi, non comparve che poco fumo di modo che molte persone, passato alquanto lo spavento, si recarono fin sul luogo dove era avvenuta l’eruzione e raccontarono poi che i massi e le ceneri precipitati in quella località, avevano formato un monte la cui altezza eguagliava quasi quella del monte Barbaro che gli era accanto e che avevano coperto tutti gli edifici, quelli recenti e i resti delle numerose costruzioni che, nonostante gli anni, ancora si osservavano attorno al lago, prima del terribile evento, e che erano completamente scomparsi.
Nella domenica seguente, 6 ottobre, molte persone notando da lontano il nuovo monte sorto così, per magia, assai incuriosite da quella novità, vollero recarsi a vedere più da vicino il fenomeno e alcune di loro si avventurarono incoscientemente fino alla metà del nuovo monte mentre altre, addirittura, si avvicinarono fin quasi alla cima, quando, senza alcun preavviso, vi fu una nuova eruzione, così tremenda e con l’emissione di una gran quantità di fumo misto a gas, che molti di quegli infelici ne furono soffocati, mentre altri sparirono, e non furono mai più ritrovati. Secondo le notizie del tempo, i dispersi ammontarono a ventiquattro persone.
Da allora ad oggi, nella zona del Monte Nuovo, null’altro di importante è avvenuto.
A proposito poi del monte Barbaro, al cui fianco nacque in poche ore e dal nulla, il nuovo monte, secondo quanto riportato da vari autori, fra cui Cicerone, Livio, Plinio, Silio, Siconio, Apollinare ed altri, anticamente fu molto fertile in viti, da cui si ricavava un ottimo vino. Divenuto in seguito in gran parte sterile, il volgo gli sostituì l'antico suo nome Gauro, che era stato un tempo anche un vulcano attivo, in quello di Barbaro.
(tratto da I laghi d'Averno e Lucrino e la nascita del Monte nuovo di Alfonso Farina)
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