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La villanella napoletana


la villanella napoletana: un frontespizio la villanella napoletana: un frontespizio

Occorre risalire al 1536 per poter trovare "le prime tracce" di quella che diventerà La villanella napoletana. Nel 1536, infatti, il musicista ed editore De Colonia pubblicava a Napoli una raccolta di 15 "canzoni villanesche" anonime, buona parte delle quali in napoletano.
Sono  brani a tre voci dove però le due parti inferiori si limitano a sostenere e ad accompagnare la linea superiore (soprano) in cui si concentra l’espressione melodica. Le due voci inferiori possono comodamente essere eseguite su uno strumento accordale (il liuto) in modo che il cantante possa, volendo, accompagnarsi da solo.
Queste caratteristiche della canzone villanesca (che poi sarà chiamata più sinteticamente “villanella”) non sono però né innovative né rivoluzionarie.
Tante altre forme musicali dell’epoca sono costruite allo stesso modo, alcuna anche con testi dialettali: la frottola, lo strambotto, il canto carnacialesco (in toscano), la villotta (in veneto).
Tutte queste forme però ad un certo punto scompaiono mentre la villanella napoletana si diffonde a macchia d’olio in tutta Europa. Perché questo eccezionale successo de La villanella napoletana?




La villanella napoletana: il perchè della diffusione in Europa




Difficile rispondere se non elencando delle particolarità della villanella napoletana: l’immediatezza melodica; la vivacità ritmica che alterna battute ternarie e binarie; la duttilità della lingua adatta sia alla lirica amorosa che all’invettiva satirica. La villanella napoletana fu trattata inizialmente da compositori locali (Da Nola, Di Majo, Trojano) ma deve la sua prima grande diffusione a due stranieri: Orlando Di Lasso e Adrian Willaert.
Questi due signori appartengono ad una categoria di “liberi professionisti” della musica (soprattutto francesi e fiamminghi) che amavano viaggiare e passare di corte in corte diffondendo lo "stile fiammingo" basato sul contrappunto più complicato ed ardito ma senza disdegnare forme più semplici anche di ispirazione popolare e anche nella lingue locali, come appunto la villanella napoletana. Le villanelle di Willaert e Orlando Di Lasso su testi anonimi sembrano sgorgare direttamente dall’anima partenopea; alcune sono ancora conosciute ed eseguite come "Sto core mio" e "Tutte le vecchie".
La villanella napoletana: ritratto di Orlando Di Lasso La villanella napoletana: ritratto di Orlando Di Lasso
Fu proprio Willaert probabilmente a portare la villanella a Venezia; la città dei Dogi era all’epoca la capitale mondiale dell’editoria musicale e vi convergevano musicisti da tutta Europa.
Fu proprio Venezia quindi il "motore propulsore" della villanella napoletana e della sua diffusione (queste cose bisognerebbe raccontarle a quell’assessore veneziano che nei recenti anni ’90 voleva impedire ai gondolieri di cantare canzoni napoletane).
Verso la fine del ‘500, come spesso accade, fu proprio la grande diffusione a segnare la decadenza della villanella napoletana che per raggiungere un po’ più vasto pubblico perse il testo in napoletano (sostituito dall’italiano letterario di carattere madrigalesco) e musicalmente diventò sempre più complessa accogliendo più artifici e insomma arrivando a diventare un’altra cosa che della villanella napoletana conservava solo la definizione. Le villanelle di Gastoldi, ad esempio, o le villanelle di Luca Marenzio sono in realtà brevi madrigali italiani senza alcun riferimento con le caratteristiche precipue della villanella napoletana.







a cura di Giancarlo Sanduzzi

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