Finanze, economia e produzione delle Due Sicilie (1830-1859)
(di Alberto Servidio)
Vi proponiamo un ampio stralcio di un interessantissimo e documentatissimo articolo di Alberto Servidio pubblicato sulla rivista l'Alfiere, articolo dedicato ad un attento esame delle politiche economiche realizzate dal re Ferdinando II; si rimane colpiti dal fatto che la politica economica portata avanti da questo sovrano, nel suo lunghissimo regno, è probabilmente esattamente l'opposto di quello che ci si potrebbe aspettare dal re di uno stato, considerato dalla storiografia ufficiale, come arretrato e corrotto: Ferdinando II portò avanti una politica economica fondata sull'azzeramento del deficit, politica realizzata non con un incremento di tasse ma, quasi esclusivamente, con una riduzione drastica della spesa improduttiva.
Ulteriore elemento di riflessione è il numero degli addetti alle attività manufattiere nel Regno delle due Sicilie: un numero record (1.350.000) con una percentuale sulla popolazione complessiva ampiamente superiore a quella esistente all'epoca nelle altre zone d'Italia.
Buona lettura!
Per tracciare un profilo della situazione finanziaria, economica
e produttiva delle Due Sicilie durante il regno di
Ferdinando II userò un metodo d'indagine del tutto nuovo.
Verificherò, cioè, i risultati della gestione borbonica facendo
largo ricorso a dati e teorie pubblici ed ufficiali prodotti
nei primi anni '60 dell'800 dagli avversari più preconcetti
di quell'esperienza: gli "unitari".
…
L'azzeramento del deficit
Premettiamo che Ferdinando II, salito al trono ad appena
20 anni, dette inizio al suo governo con un atto che dovrebbe
essere studiato ed imitato - nella logica economica e nella
correttezza della prassi politica - ancora oggi.
Con il Decreto 11 gennaio 1831, infatti, pose in essere una serie di interventi per
azzerrare il deficit
di bilancio preesistente e rese disponibile, come primo
provvedimento, una cifra cospicua per ridurre la pur non
alta tassa sul macinato.
Quel che è ammirevole di quel decreto - ancora oggi - è
il criterio e la scelta di metodo. Vale la pena riassumerlo.
Dunque, Ferdinando partiva dalla coraggiosa denuncia
pubblica dell'esatto ammontare del vero deficit dello Stato
(1.128.167 ducati). Quanti governi, ancora oggi, ricorrono ad
artifici contabili che occultano la realtà! Senza contare che in
quei tempi nessun monarca pensava neppure alla lontana di
essere tenuto a denunce "sconvenienti" di quel genere.
Ma quel che è ancora più sorprendente (lo si ribadisce,
ancora oggi!) è il fatto che dopo quella ammissione "non"
si facesse alcun riferimento a tasse, ma, anzi, venisse deciso
come provvedervi indicando innanzitutto la riduzione per
180.000 ducati annui dell'appannaggio personale del re e
per ulteriori 190.000 ducati annui la riduzione dell'assegnamento
della famiglia reale. Ulteriori 350.000 ducati vennero
recuperati sui costi delle amministrazioni della Marina e
della Guerra e 351.665 ducati derivarono dalle riduzioni di
disponibilità degli altri ministeri.
Pareggiato il bilancio del 1831, Ferdinando rese immediatamente
disponibile la residua somma di 110.050 ducati
per ridurre la tassa del macinato.
…
Cominciò così una lunga fase di effervescenza economica,
di incremento della ricchezza e delle basi produttive,
che in un ventennio doveva portare la situazione finanziaria,
economica e produttiva del regno ad un livello che -
per il tempo - era di valore assoluto.
Valga - a titolo di pura e sintetica esemplificazione -
quanto scrisse e pubblicò nel 1863 un capitano dello Stato
Maggiore Generale dell' Esercito Sardo: il capitano A.
Bianco di Saint Orioz:
"...
II 1860 trovò questo popolo (ndr.
Quello delle Due Sicilie) del 1859 vestito, calzato, industrie,
con riserve economiche. Il contadino possedeva una
moneta. Egli comperava e vendeva animali; corrispondeva
esattamente gli affìtti; con poco alimentava la famiglia, tutti,
in propria condizione, vivevano contenti del proprio stato
materiale. Adesso è l'opposto... La pubblica istruzione era
sino al 1859 gratuita, cattedre letterarie e scientifiche in tutte
le principali città di provincia. Adesso, invece...".
…
Il debito pubblico
In 19 anni di governo le finanze pubbliche delle Due Sicilie
raggiunsero una affidabilità ed una solidità assolutamente
ammirevoli: i titoli del debito pubblico oscillavano tra i
115 ed i 120 rispetto a valori facciali di 100, perché gli interessi
venivano pagati con puntualità, erano in linea con la
media degli interessi corrisposti per i migliori titoli d'Europa,
il capitale veniva puntualmente restituito.
Il debito pubblico,
d'altro canto, era sostanzialmente modesto perché al
1860 oscillava intorno ai 35 milioni di ducati (150 milioni
di lire/oro, a fronte degli oltre 600 milioni di lire/oro a cui
assommavano tutti i debiti pubblici degli ex Stati della
penisola annessi dal regno sardo).
Il prelievo fiscale
Il prelievo fiscale era sostanzialmente modesto (forse,
"troppo" modesto): basti considerare che nei 1898 Vilfredo
Parete (insospettabile di borbonismo) calcolò che fra il
1860 ed il 1891 le "sole" imposte comunali percette a sud
erano pari all'intero prelievo fiscale borbonico pre/1860 da
parte di Stato, province e comuni.
I dazi comunali borbonici (trasformati in imposte di consumo
dagli unitari) erano indubbiamente bassi, basti considerare
i calcoli di Gaetano Salvemini nel 1900 che dimostravano
come quelle imposte fossero lievitate in 40 anni
(dal 1860 al 1900) di oltre il 100% rispetto al 1860 in tutta
Italia e molto di più nel solo sud.
Questa levità fiscale, unita alla particolarità di dazi tendenti
a far soddisfare prima le esigenze interne delle comunità
ed aprire poi gradualmente al mercato le sempre più
abbondanti produzioni eccedentarie, determinavano uno
stato di prezzi molto bassi, una circolazione dei beni sensibilmente
elevata ed elevati livelli di impiego della ricchezza
(ovviamente, secondo i parametri del tempo).
I dazi di importazione erano in linea con quelli di tutte le
grandi economie del tempo, tant'è che le esportazioni delle
Due Sicilie potevano tranquillamente crescere senza incontrare
le difficoltà di "dazi ritorsivi" che ci sarebbero sicuramente
stati se il sud avesse praticato una politica protezionistica per le proprie produzioni.
Le esportazioni
E la voce esportazioni aveva
un grande peso nell' economia meridionale: basti considerare
che gli unitari "dovettero" (e ne furono ben lieti!) constatare
che oltre l'80% di tutta l'esportazione agricola italiana
era costituita da produzioni meridionali; basti considerare
che fino al 1860 l'unico Stato italiano che producesse
meccanica di precisione (macchine, locomotive, ecc.) era
quello delle Due Sicilie che destinava la quasi totalità della
produzione all'esportazione(NDR
vedi altro nostro articolo sulla fabbrica Zino & Henry).
Non meraviglia perciò che il 65% (410 milioni su 626 di
lire/oro) di tutti i mezzi di pronta conversione (oro ed
argento) circolanti in Italia al 1860 fosse nel Mezzogiorno.
Quest'effetto non era, quindi - come strumentalmente
sostengono ancora oggi gli ultimi epigoni della logica unitaria
del 1860 - la prova della scarsa ''possibilità" di impieghi
produttivi che avrebbe lasciato spazio solo ad una "sterile
tesaurizzazione", ma, al contrario, la prova inconfutabile
della abbondanza produttiva e della capacità di esportazione
delle Due Sicilie (diversamente, da dove sarebbero
saltati fuori oro ed argento in un Paese privo di miniere di
oro ed argento?!) e l'effetto dell'applicazione a sud della
teoria bullionista adoperata, in quel tempo, da tutti gli Stati
d'Europa che ne avessero la possibilità (e nel resto della
penisola questa possibilità era presente solo nella Lombardia,
dove - però - operava a vantaggio delle finanze di
Vienna!). Una teoria (solo per ricordo: la ricchezza dello
Stato si misurava sulla quantità di metallo prezioso in esso
presente) che venne gradualmente abbandonata solo a partire
dalla metà dell '800 per effetto dei ritrovamenti di oro
ed argento in California ed Australia.
…
Agricoltura e industria
Tutto questo
avveniva integrando, fino al limite del possibile, agricoltura
ed industria: come non ricordare l'ammasso di bozzoli di
baco da seta da parte di tutti i contadini del Mezzogiorno
per sostenere - integrando i propri redditi - la produzione
della materia prima necessaria alla Regia Manifattura di
San Leucio; come non ricordare l'integrazione fra le produzioni
di canapa ed i grandi realizzatori di sartiame del polo
delle due Fratte (quella Maggiore e quella Minore) che
armavano le imbarcazioni di tutto il Mediterraneo!
Fu così, ad esempio, che le risorse accumulate da S. Leucio
costituirono le finanze per sostenere lo sviluppo delle
Manifatture Cotoniere Meridionali e la nascita - con capitali
anche stranieri - delle più grandi filande d'Italia (solo per
ricordare: la svizzera Egg di Piedimonte d'AIife produceva
tre volte più della più grande filanda esistente fuori delle
Due Sicilie, cioè la tessile Conti di Como).
Il grande progetto ferroviario
Fu così che le
risorse accumulate costruendo, su licenza, le locomotive, i
vagoni e le rotaie a Pietrarsa (oltre 2000 dipendenti) (NDR
vedi nostro articolo) ed
esportando in Europa quello che gli altri Stati preunitari
"dovevano, quando potevano" importare, vennero accumulati
i mezzi finanziari per la costruzione delle dorsali ferroviarie
adriatica e tirrenica che Garibaldi trovò nei cassetti
del Tesoro di Napoli(…e che sperperò malamente in soli 50 giorni): quei soldi, tutti propri delle Due Sicilie, e
quel progetto, frutto di un bando internazionale di concorso,
erano già pronti a passare alla realizzazione nel 1857 quando
il ferimento di Ferdinando da parte di Agesilao Milano,
il successivo degrado della salute dei re e la sua morte ne
rallentarono l'esecuzione, definitivamente procrastinata dalle
vicende che precedettero e seguirono lo sbarco dei Mille.
…
Comunque quel modello portò le Due Sicilie ad una
situazione di "diffusa"crescita produttiva che con linguaggio
moderno si può qualificare di '"predecollo industriale",
condizione che trovava nella sola Lombardia - per quanto
riguardava la penisola - un termine di accettabile paragone.
Il 44% (cioè: 1.350.904 su 3.072.245, secondo il censimento
unitario del 1861) di tutti gli addetti alle manifatture protoindustriali
ed industriali d'Italia (quelli che oggi si chiamerebbero
addetti all'industria) erano concentrati nel Mezzogiorno
e di questi solo 410.159 erano in Campania giacché
gli altri 900.745 erano sparsi uniformemente in tutto il
regno (come non pensare alla malafede di qualche "meridionale"
che descrisse ed impose a tutta l'Italia la definizione
del sud come un regno deforme con una testa - Napoli -
abnorme ed un gracile corpo - il resto del regno!).
Per capire l'abisso che separava - in positivo - le Due
Sicilie industriali dal resto d'Italia, basti ricordare che tutti
gli addetti manifatturieri di quello che dagli anni '80 in poi
dell'800 diventerà "il triangolo industriale italiano" erano
solo 759.000 a fronte di una popolazione uguale a quella
delle Due Sicilie (cioè, rappresentavano circa il 56% dell'occupazione
industriale del sud).
Il difetto fondamentale di quel modello, ed in particolare
in quella fase delicata di predecollo industriale, era costituito
dalla assoluta necessità di un governo che, senza essere
dirigista, ponesse tutte le sue cure: nell'evitare i gravissimi
rischi inflattivi che sarebbero nati dalla sovrabbondanza diffusa
di oro ed argento; nel dosare con prudenza il continuo
ampliamento della base produttiva onde evitare crisi di
sovrapproduzione, soprattutto settoriale, fisiologici in una
situazione incontrollata di forte effervescenza produttiva
come era quella delle Due Sicilie; nella continua attenzione
alla messa in valore di tutte le risorse del Paese per diffondere
l'ottimale utilizzo.
In una parola, quel modello aveva bisogno, in primis, di
un governo "indipendente", in coerenza, del resto, con la
sua stessa origine dalla proclamazione dell'indipendenza di
Napoli con cui esordì il regno di Carlo III.
Tutti possiamo capire, dunque, perché quel modello finì
con la fine dell'indipendenza delle Due Sicilie. Ma tutti
possiamo capire anche perché e come la condizione attuale
del Mezzogiorno non potrà migliorare se l'area non potrà
recuperare una "'propria" ed "efficace via" per mettere in
valore le proprie risorse senza essere condizionata da
modelli ed interessi estranei e contrapposti a quelli propri.