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La fortuna con la effe maiuscola


Emanuela Catalano, profonda conoscitrice del mondo artistico e teatrale di Napoli, ci parla in questo articolo di una tra le commedie più importanti di Armando Curcio, La fortuna con la effe maiuscola, commedia scritta a quattro mani con il grande Eduardo.




LA FORTUNA CON LA EFFE MAIUSCOLA

Di Eduardo De Filippo e Armando Curcio



La scena si apre su di un miserrimo appartamento ricavato nella parte più buia di un vecchio palazzo napoletano, epoca 1942.
Abitano questo oscuro e singolarmente promiscuo appartamento i componenti della famiglia Ruoppolo, ormai ridotti a brandelli anche nelle anime e nelle intelligenze a causa dell’indigenza prolungata.
In un tempo che ci appare ormai remoto i coniugi Ruoppolo non ancora preclusi alla speranza e confortati dall’amore hanno adottato un orfanello, per di più mentalmente ritardato, Erricuccio.
La porta d’ingresso introduce,  direttamente dal pianerottolo in un ambiente unico, ingresso, cucina, stanza da ricevere, illuminato da una finestra  posta sulla parete della porta d’ingresso fiancheggiante le scale comuni. In un angolo di questo ambiente è un soppalco in legno che crea un “quartierino” che funge da cameretta per Erricuccio.
La vicinanza di Erricuccio con la finestra  se da una parte, per il ragazzo, è un passatempo, per gli inquilini tutti è un tormento, perché Erricuccio nel suo “ritardo” è in realtà furbo e sa ben usare la lingua e gli occhi per scudisciare i comportamenti moralmente “disinvolti” dei coinquilini.
Con lo stesso piglio, aggressivo e querulo nel contempo, Erricuccio tratta il padre adottivo Giovanni, che non riesce ad amare e rispettare, nonostante l’affetto che lo lega alla madre adottiva.
Il primo atto si dipana, prendendo le mosse dal “topos” della fame mutuato dal teatro latino al medioevo, dalla Commedia dell’Arte alle farse di Scarpetta. Si conoscono gli inquilini del grande immobile e le loro debolezze, si palesa Erricuccio nel suo sordo, cantilenante ed esplosivo contenuto, mosso dalla verità istintiva e dalla totale mancanza di mistificazioni, propria delle anime semplici.
Durante il secondo atto matura lo sconforto di una vita tirata a fatica, lavorando ma permanendo nella miseria più nera, senza una svolta, senza aspettative concrete. Lo sconforto sopraffà Giovanni  che, d’un colpo, travalica le remore dell’onestà giungendo, per una sommetta di denaro che ormai agli occhi dei Ruoppolo rappresenta l’unica opportunità, a commettere un atto illegale.
A questo punto, annunciato da  Erricuccio che, nella sua limitatezza intellettiva, ha però compreso tutto, giunge un’inaspettata eredità dall’America, che sarebbe veramente quel Colpo di Fortuna  di cui i Ruoppolo attendono da sempre l’arrivo.
Più del terno inaspettato, più dell’avanzamento isperato, questo lascito giunto d’oltreoceano rimette a posto il cervello e l’anima dei Ruoppolo abrutiti dalla miseria; finalmente gli affetti superano le istanze del bisogno e la dignità ha il sopravvento sulla disonestà.
Giovanni Ruoppolo, con un colpo di reni di cui non sembrava più capace, si riappropria dell’onesta con cui ha condotto la sua miserrima esistenza e decide di autodenunciarsi, per preservare quell’eredità per la moglie e per Erricuccio.
Con il medesimo slancio, Erricuccio, che con cocciuta caparbietà si era sempre opposto a Giovanni, non solo lo riconosce finalmente come padre, ma comprendendone la profondità dei sentimenti, sancisce il loro rapporto affettivo affidandogli il suo amato pupazzo, estrema proiezione si sé stesso, per alleviargli le sofferenze della carcerazione.
La  commedia, che ha un enorme carico di dolore individuale, familiare e sociale, strappa risate non ridanciane ma di duro umorismo, quell’ironico divertimento che ci dona la “realtà” quando, paradossalmente supera l’inventiva.
Il finale non culminante nella risata, ma fortemente connotato di umanità è certo eduardiano, aperto ad una speranza che è istanza sociale; di Curcio,  più propenso  al surreale, troviamo, in questa commedia il segno in lampi di battute del primo atto a proposito di uova scomparse o di gocce d’olio volatilizzate e ancora nelle improbabili alterne vicende di danaro e leggi del secondo atto, e soprattutto nel carattere di Erricuccio cesellato come un ritratto di Bronzino.

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