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Armando Curcio


 

Emanuela Catalano, profonda conoscitrice del mondo artistico e teatrale di Napoli, ci parla in questo articolo di Armando Curcio, un grande della cultura partenopea, fondatore, tra l'altro, dell'omonima casa editrice.

 

 

ARMANDO CURCIO

Napoli 25 Maggio 1900 , Roma 25 Novembre 1957



Nato in una famiglia colta e benestante che annovera anche la presenza di artisti, fin da giovane inizia una poliedrica attività di scrittore di novelle, giornalista, umorista, sceneggiatore, ma sarà il teatro a consacrare la sua notorietà.
Armando Curcio Armando Curcio
Già negli anni ’20 dirige una rivista umoristica intitolata “2 soldi di novelle” e poco dopo, nel 1927, fonderà l’Istituto Editoriale Moderno che negli anni  del regime  crea una serie di opere dedicate alla divulgazione della cultura.
Armando Curcio, con grande anticipo, ebbe l’idea delle dispense enciclopediche a fascicoli che ampliavano il bacino dei potenziali lettori quando ancora in Italia si scriveva per una elite, ed edizioni economiche in volume che avvicinavano al libro i nuovi ceti di lavoratori.
E’ da rimarcare questo intento in un’Italia che ancora più di vent’anni dopo, nel secondo dopoguerra, avrà bisogno di alfabetizzazione di base, affidata al nuovissimo mezzo mediatico e alle straordinarie doti umane e didattiche di Alberto Manzi, un maestro vero.
Armando Curcio aveva già scritto, nel 1927 il suo primo lavoro teatrale “ Lionello e l’amore”, portato sulle scene l’anno successivo.
La conoscenza con i De Filippo e l’amicizia con Eduardo, coetaneo nato ad un solo giorno di distanza, produce, nel 1942, la nascita di una commedia “a quattro mani” intitolata “La fortuna con la effe maiuscola” che ancora oggi è continuamente riproposta con grande successo di pubblico.
Questa opera pur avendo  le sue più profonde origini in un “topos” della Commedia dell’Arte: la miseria, il dolore della povertà, è impostata su di uno sfondo sociale, avendo come “luogo” degli eventi la famiglia, che permette ai due autori di costruire una incastellatura dove alla fine sarà il buon senso a spuntarla.
I protagonisti, finalmente usciti dal momento più pressante del bisogno, si capacitano, finalmente, che, allontanato lo spettro della miseria, il vero valore, la vera fortuna agognata, ha la effe maiuscola perché non è il danaro ma il nucleo degli affetti, base della famiglia e della società più sana: si prospera per gli affetti e non per i denari.
Questo stesso argomento, il denaro sarà al centro di un’altra fortunatissima e bellissima commedia di Armando Curcio, portata al successo  dall’altro De Filippo, Peppino, non meno bravo del più noto fratello.
Si tratta di “A che servono questi quattrini?” nella quale l’autore scrive un ruolo straordinario,  quello del Marchese Eduardo Parascandalo, che si atteggia a filosofo, maestro di stoicismo, per aver dilapidato il suo patrimonio e vivere senza darvi la benchè minima rilevanza.
Le sue lezioni filosofiche, rivolte a napoletani del popolo, hanno un esempio tangibile  nel  discepolo prediletto del Marchese, Vincenzino Esposito.
Certo a queste scene  e a questi personaggi ha guardato anche  Luciano De Crescenzo definendo il protagonista dei suoi romanzi, il prof. Bellavista, che a spazzini e disoccupati dà lezioni di filosofia greca.

“A che servono questi quattrini?”  è stata messa in scena recentemente con il ruolo del Marchese Parascandolo impersonato da un altro grande attore della stirpe dei De Filippo: Luigi, che di Peppino è figlio, devoto, nel rispetto della memoria e della educazione dal padre ricevuta, e grande attore, non solo perché figlio di Peppino e appartenente ad una schiatta teatrale regale, ma per le sue proprie notevolissime e peculiari doti recitative.

Infine tra le numerose opere teatrali scritte da Armando Curcio occorre ricordare “I casi sono due”, commedia inverosimile e gravida di scene talora anche confondenti, e che ha, inoltre, una solida tenuta di palcoscenico: non molto tempo fa era in tournèe con Carlo Giuffrè, altro grande attore a cui  non si deve perdere l’occasione di battere le mani  dal vivo, e Angela Pagano cresciuta nella compagnia di Eduardo.

Questa commedia, un vero rompicapo di equivoci,  vive anche di una straordinaria fantasia lessicale, che propone una comicità gradevole e “spicciola” fondata su deformazioni linguistiche di nomi per assonanze, talora anche ingannevoli o improbabili, e calembours che, combinati con il groviglio e le situazioni della trama, rendono esilarante il testo.

Gaetano Esposito è il personaggio perno di tutte le vicende del testo, nato dalla creatività di Curcio, ha trovato il suo primo interprete in Peppino De Filippo che con i fratelli  mise per la prima volta in scena la commedia nei tre ruoli principali.

Prorio questo strampalato presunto cuoco, ha dato lo spunto ad un gioco nella mente del suo primo interprete, Peppino De Filippo, che partorirà, molti anni dopo, dalle ceneri di questo personaggio, la figura di Pappagone vera icona di una italianità ferina  quanto farsesca.

Ancora a “quattro mani”, questa volta con Peppino De Filippo, Armando Curcio scrive, sempre negli anni quaranta, altri due lavori teatrali: “Casanova farebbe così” e “Basta il succo di limone!”.

Infine è da ricordare, scritta da Armando Curcio e Luigi Comencini, la sceneggiatura di un bellissimo film, diretto da quest’ultimo, “Proibito rubare”, girato nel 1948, incentrato sul tema dei bambini, molto caro al regista.

Vogliamo concludere con un richiamo alla Casa Editrice Armando Curcio, attiva e assieme alle opere teatrali, ricordo ancor oggi presente tra noi di un uomo che impiegò  i suoi brevi 57 anni di vita terrena con altruismo, lasciando qualcosa di sé agli altri, e quindi a lui dobbiamo profonda riconoscenza e per la trasmissione della cultura, che per le liberatorie risate non certo prive di valore che i suoi testi ci regalano sempre.


                                                                        Emanuela Catalano

 

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