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Il napoletano : le parole apolidi



Vi proponiamo un altro interessantissimo articolo di un grande conoscitore della lingua napoletana e, in particolare, dell'origine di tanti suoi termini; stiamo parlando di Renato De Falco.
Ringraziamo Eduardo Vitale, direttore della rivista l'Alfiere, per averci autorizzato a pubblicare questo interessantissimo articolo.


Una esclusiva singolarità del parlar napoletano è da ravvisarsi nella presenza di svariati lemmi che potrebbero definirsi "apolidi", in quanto privi di cittadinanza perché di norma non reperibili nei vocabolari, né della lingua italiana, né di quella napoletana.
Da rilevare che tali parole rivestono una cadenza rigorosamente italianeggiante e del tutto scevra da vernacolismi. Per spiegare la motivazione di siffatta insolita peculiarità va tenuto presente che le classi "colte" partenopee alternavano il napoletano al francese, che era la lingua delle corti e della diplomazia, il cui apprendimento era d'obbligo nelle loro famiglie. E va al riguardo precisato che - pur se curiosamente deformati - si riscontrano nel nostro lessico familiare oltre centocinquanta francesismi e locuzioni idiomatiche. Si tratta di termini, per quanto comunemente ricorrenti, tipici di una borghesia sufficientemente acculturata e in quanto tali non "discesi" nel popolo, ma - attesa la loro limitata circolazione - neanche "trasmigrati" nel raffinato idioma nazionale. Al presente si riscontrano oltre quaranta di dette voci, che verranno elencate alfabeticamente, nella portata nostrana e in quella italiana.

APPUNTARE: tra noi nel significato di abbottonare un indumento, ma che in italiano sta per annotare o anche fermare qualcosa con un oggetto appuntito.
ACCORSATURA: avviamento commerciale, proprio di esercizi con scelta clientela e bene accreditati. Riportato solo da qualche dizionario come "meridionalismo", non è accertato se derivi dal buon "corso" degli affari o dalla ubicazione in un importante e centrale "Corso" civico.
APPANNARE: socchiudere una persiana o un'imposta, metaforicamente coprendola con un panno: "in lingua" equivale a opacizzare, offuscare, con riferimento ai colori che nel tempo perdono l'originaria vivacità cromatica.
BOCCACCIO: contenitore in vetro di cibi a lunga conservazione. Ma nella lingua di Dante è uno degli appellativi del succiacapre, uccello dell'ordine dei Caprimulgidi.
BOCCIONE: grosso fiasco da vino dalla forma rotondeggiante, in italiano è l'urospermo, un genere delle piante composite.
CENERIERA: è la versione nostrana del portacenere (o posacenere).
COLONNETTA: così viene chiamato il comodino, affiancante il letto, per il suo tradizionale formato di piccola colonna.
COMBINAZIONE: non il caso fortuito o la serie di numeri che consente la apertura di una cassaforte, ma - con diretta derivazione dal francese combinaison - la remota e casta sottoveste che permetteva di "combinare" tale copribusto con la gonna.
CORPETTO: resta per noi il "cono" da gelati e non la "tegola curva" per la copertura di tetti.
COPPINO: non è il laterizio o la settentrionale nuca, ma il casalingo ramaiolo emisferico atto a prelevare dalle pentole ilbrodo o la minestra.
COSTUME: termine non connotante un abito da scena, un complesso di tradizioni, una abitudine o un indumento balneare, ma che, ormai obsoleto, designava il tradizionale vestito "buono" maschile, ovviamente confezionato su misura.
COZZETTO: è questa la denominazione napoletana della nuca o della collottola, escluso ogni riferimento a piccolo urto.
CREANZA: non designa le buone maniere o la corretta educazione, ma il piccolo dono opportuno per sdebitarsi con qualcuno o per omaggiare persone di riguardo.
CROCCO: pervenutoci dal francese crochet, non è il sottile ferro per i lavori a maglia, né il grosso gancio per arpionare pesci di notevoli proporzioni, ma - apud Neapolim - il chiodo a elle (italicamente "ad uncino") per sospendere quadri e simili.
CROMATINA: è l'appellativo scientifico dell'acido desossiribonucleico (!), ma tra noi, più terra-terra, il lucido per scarpe.
CURIOSO: non è riferito al ficcanaso, a chi desidera intensamente venire a conoscenza di qualcosa, ma napoletanamente così viene definito l'individuo strano, l'insolito, ridicolo, bizzarramente abbigliato, tale quindi da suscitare curiosità, stupore e meraviglia.
DIAVULILLI: non si tratta di piccoli demoni, bensì dei minuti confetti policromi con cui si adornano gli struffoli o altri dolci.
FRUSCIA' E FRUSCIARSE: ben diverso dal "produrre fruscio", il polisemico verbo spazia dal dissipare al vantarsi, dall'illudersi al molestare, dall'opprimere al sopraffare. Nel gioco delle carte, il fruscio è costituito da quattro carte dello stesso seme.
GUANTIERA: remotamente era il contenitore di guanti, ma apud Neapolim ha sempre rappresentato il vassoio per antonomasia, qualunque ne fossero la forma e la materia. "Piatto di varie forme su cui si pongono chicchere e piattini" annota il Contursi nella sua Nomenclatura italo-napolitana (1881), mentre Pietro Paolo Volpe, nelle "addizioni" al proprio Vocabolario tascabile... include la guanterella de lo miccio, intesa quale raccoglitore di cera delle candele (bugia).
IMBUSTO: "Arcaico regionalismo", giusta il Vocabolario illustrato della lingua italiana di Devoto e Oli (1962); è la sacrale ed esclusiva definizione della argentea statua a mezzo busto di San Gennaro, venerata nel Duomo di Napoli.
LASCO: non è la marinaresca "manovra non tesa", ma tutto quanto si presenta di scarsa consistenza, diluito, non compatto, rado, allentato, consunto: si pensi al brodo o al caffè lasco, al pettine lasco (largo, ma più propriamente detto spiccecaturo), a chi è lasco 'e rine (incontinente) o 'e capille (semicalvo), alla tela lasca (dall'ordito slargatosi), al fucile lasco 'e posa (che può sparare al minimo urto).

LASTRA: per noi è il vetro di finestra o balcone, alla cui sostituzione non può che provvedere il lastraro; altrove è la pietra di pavimentazione stradale o un qualunque "corpo solido di limitato spessore". Per la valenza poetica delle lastre nostrane rimandiamo al tenero idillio Digiacomiano E rimpetto: "L'ato iuorno c' 'o sciato facette d' 'a fenesta na lastra appannà"...
MESALE: è la familiare tovaglia da tavola, che prende nome dalla mensa cui è istituzionalmente demandata.
NICCHIA: per noi tomba o sepolcro, ma il significato italiano è quello di una cavità praticata in un muro per sistemarvi piccole statue o per funzione decorativa.

OFANO: chi mai sospetterebbe che una parola dall'apparenza dall'apparenza tanto raffinata e dal suono così forbito - ricorrente sulla bocca di gente "bene" - sia tutta e sola napoletana? Sta in fatto che essa non è stata accolta da alcun Vocabolario della madrelingua, limitata come è all'area campana... Ofano, cioè borioso, vanitoso, vanaglorioso, che ostenta spocchiosa albagia e, a detta del Puoti, "desiderio di acquistare lode e rinomanza in cose che a nulla giovano". Non è questa la sede per indagare sulla sua etimologia (dal greco faino, dal gotico ufar o dal più convincente latino vanus): basta solo constatare la "non italianità" del lemma.

PASSAGGIO: la sua portata napoletana non ha nulla in comune con il transito, l'attraversamento, la casuale venuta, il brano musicale o letterario e neanche con la romanesca "strappata" in un'auto ospitale: essa (de)qualifica invece la furtiva sfiorata, l'impudico palpeggiamento di rotondila femminili vilmente perpetrato all'ombra della pretestuosità e della clandestinità, la lasciva "toccatina" mossa più da frustrazione che da carica erotica. Come tale non può configurare la "piccola audacia osata sulla persona di una donna", quale la riteneva Francesco Gaeta, elaboratore del glossario alle Poesie Digiacomiane, né il lieve oltraggio al pudore che ha il più delle volte l'attenuante della "forza irresistibile", a dirla con Ferdinando Russo: si tratta solo della vogliosa "manomorta" che tenta di compensare un estinto "potere" con un miserabile "provare". E pensare che Benedetto Croce, nelle Pagine sparse, dichiarava il passaggio assolutamente "non traducibile"!
PIANO MATTO: ammezzato, porzione di fabbricato ubicata al disotto del primo piano o a metà fra due piani, poco raggiungibile dalla luce solare e perciò considerata scarsamente luminosa e quasi opaca. PUNESSA: è la puntina da disegno a testa larga.
RIZELARSI: verbo ben tornito, quasi pretenzioso, in auge tra gli avvocati ed i polemisti per definizione, equivalente tra noi a risentirsi, adontarsi, irritarsi, provar rabbia a causa di un altrui comportamento che abbia ferito la propria suscettibilità, con conseguente sdegnata ripicca e contestazione. Ma non presente né tra i Dizionari dialettali né tra quelli in lingua... Poco conta la sua derivazione dallo zelos greco, che spazia dalla fervida operosità per il raggiungimento di un alto ideale alla rabbiosa animosità ed ali'ira violenta: esso anagraficamente, resta nu figlio d' 'a Maronna...
RUOTO: teglia, ampio contenitore metallico rotondo per alimenti (dal latino rotulus), ma di sola napoletana cadenza.
SARCITURA: altro vocabolo che «sente» intensamente di italiano, pur non configurandosi tale (e la sua assenza dai patrii Vocabolari ne fornisce conferma). Si tratta - ma è più giusto dire si trattava, perché cancellato dal consumismo - del perfetto ed invisibile rattoppo ottenuto mediante là paziente ricostruzione dell'ordito, che salvava giacche e pantaloni rovinati da protervi strappi, origina dal latino sarciré, rammendare, ed al presente non resta che rimpiangerne la sconsolante obsolescenza. SCOCCIATO: non si riferisce a persona infastidita, annoiata, seccata, ma tra noi - preferenzialmente - a quella priva di capelli, dal cranio (coccia) irrimediabilmente pelato.
SOPRAFFIATO: è l'affanno o l'ansimare proprio degli anziani, dei cardiopatici o di chi risulta affaticato per prolungato sforzo.
SPERLUNGA: anche qui siamo in presenza di un insospettabile napoletanismo, che così definisce il piatto di portata di forma ovale ed allungata dalle sponde leggermente rilevate: «Zuppiera oblunga ma più piatta», rileva esattamente il D'Ascoli nel Nuovo Vocabolario dialettale napoletano (1993). In lingua dovrebbe chiamarsi «fiamminga», in quanto, con quella forma, inizialmente adoperata nelle Fiandre: meglio, comunque, la gergale versione di sprellonga, autentica duplice dialettizzazione...
SUPPIGNO: soffitta, sottotetto, mansarda, soppalco.
SUSTA: fermaglio per collane.
TESTA: non «capo», ma vaso di terracotta per fiori o piante.
TOMPAGNATURA: muro con cui richiudere vani, ostruire una falla o rafforzare aree in pericolo di crollo: deformazione di tamponatura.
TOSELLO o TUSIELLO: tronetto, base, supporto per statue di Madonne e Santi da recare in processione, munito a volte di annesso baldacchino.
TOVAGLIA: è il panno che si stende sulla tavola per apparecchiare la mensa e che, come rilevato, viene qui detto mesale: ma a Napoli per tuvaglia si intende anche - ed impropriamente - l'asciugamani, mentre il tovagliolo viene decisamente maschilizzato in salviette.
USCITURE: nessuna connessione con l'andar fuori muovendo dall'interno all'esterno, ma solo le generiche affezioni cutanee conseguenti a malattie esantematiche quali il morbillo, la scarlattina, la rosolia ed altre.
VANELLA: piccolo atrio ai lati o alle spalle di un fabbricato, cortiletto interno: non ha corrispettivo in italiano, ma accade spesso di sentirlo aulicamente pronunziare o renderlo in scritto da tecnici edili. ZINEFRA: è la mantovana o il palchetto in legno con cui si adorna la parte superiore delle tende, la cui policonsonantica struttura induce a crederlo fonema italiano. Il che è del tutto inesatto.



Giunti al termine di questa frammentaria rassegna il cui fine - che non si pretende conseguito - era unicamente quello di marcare particolari aspetti e cadenze del nostro suggestivo modo di esprimerci, sia consentito di formulare il sommesso augurio che una sua auspicabile riscoperta contribuisca a sottrarlo all'immeritato declino cui lo condannano tanta sprezzante indifferenza e tanta persistente emarginazione. Riscoperta che ha per presupposto la conoscenza: e solo una conoscenza meno epidermica, più impegnata, più profonda e più amorevole può conseguire quel «volergli bene» che il parlar napoletano desidera e merita e che da molti ancora trepidamente si attende...

Renato De Falco



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