Il gioco del lotto
Mauro Finocchito, autore dell'articolo pubblicato dalla rivista l'Alfiere e di cui proponiamo uno stralcio, ci parla del gioco del lotto e dell'importanza di questo gioco per il popolo napoletano sin dai tempi dei Borbone. Anzi, l'articolo sottolinea l'importanza per i giocatori dell'elemento "fiducia" nei confronti di chi organizza e gestisce il gioco: tale circostanza spiega le notevoli contrazioni delle puntate nei periodi in cui altri governi si sostituirono a quello dei Borbone.
Ringraziamo Eduardo Vitale per l'autorizzazione alla pubblicazione.
Il lotto al tempo dei Borbone: la fortuna solidale
Nell'estate del 1777 la regina Maria Carolina dà a
Ferdinando I di Borbone il suo secondo figlio,
Francesco, futuro erede al trono.
…
Nella successiva estrazione del lotto, i
napoletani, consultato il Libro de' Sogni, antica versione
della Smorfia, giocano in massa tre numeri: l'1 (che significa:
figlio maschio), il 16 (la regina) e il 70 (il palazzo
reale). Racconta la Gazzetta Universale dell'epoca: "Volle
il caso che tutti e tre fossero estratti dall'urna, e in conseguenza
ci e stata una vincita di più di 170 mila ducati.
L'introito è di circa settantamila ducati e centomila ce li
rimette la Regia Azienda..."
Questo episodio dimostra come l'amore tra Napoli e il
lotto abbia radici antiche. E non solo. Rispetto a quello
che è diventato oggi, con giocate che si ripetono addirittura
ogni dieci minuti (Dieci e Lotto), quasi come una
macchina ruba soldi, il lotto aveva una dimensione più
etica, meno pressante, era un prodotto della cultura del
solidarismo e dell'assistenza e contribuiva a rafforzarla
e a perpetuarla.
Il gioco delle zitelle
E furono proprio i Borbone a dare al
gioco questi connotati, facendolo confluire sotto il controllo
dello Stato e riorganizzandolo.
A Napoli il lotto era comparso per la prima volta nel
1682 e fino al 1735 era stato gestito da società private.
Carlo di Borbone, appena un anno dopo la sua venuta a
Napoli, lo fece diventare gioco a gestione diretta del
governo, ne aumentò progressivamente le estrazioni e,
soprattutto, dispose che ad ognuno dei novanta numeri
messi nell'urna fossero associati i nomi di novanta "donzelle"
povere del Regno. Le cinque "donzelle" abbinate
ai numeri estratti ricevevano 25 ducati ciascuna, una
somma allora più che sufficiente a formare la dote necessaria
per maritarsi. Per questo motivo il lotto era chiamato
chiamato beneficiata o anche "gioco delle zitelle" o "delle donzelle".
…
Un'altra consuetudine dai connotati etici, introdotta
dai Borbone, fu quella di non permettere le puntate su
quaterna e quintina, in modo da determinare una maggiore
e più equa distribuzione di vincite: non vi erano nel
lotto "grandi vincitori" ma piuttosto una pletora di
medie, piccole o piccolissime vincite spalmate sull'intera
città. La gente poteva puntare sull'Estratto (un solo
numero), sull'Estratto determinato (un numero di cui si
indichi la posizione, nella sequenza dell'estrazione),
sull'Ambo e sul Terno.
Inoltre, le stesse estrazioni non
erano così frequenti come lo sono oggi. Durante il primo
Settecento, le estrazioni annuali oscillano da due a quattro,
per poi salire a nove nel 1737, diciotto nel 1773,
ventiquattro dal 1804, ventisei dal 1811. Solo a partire
dal 1816, con il ritorno dei Borbone dopo il decennio
francese, esse avranno cadenza settimanale. Il numero
delle estrazioni è una delle poche cose che cambierà nel
lotto.
Le origini del gioco
Il gioco, destinato a diventare estremamente popolare,
compare per la prima volta a Genova nel 1610, come
forma istituzionalizzata dell'uso dei genovesi di scommettere
sull'esito del sorteggio annuale di alcuni membri del
senato cittadino, e diventa popolare in Europa non prima
del Settecento. Da Genova si propaga presto ad altre città:
Napoli, Milano, Venezia, Torino, Roma.
…
"Le lotterie erano il
sogno delle autorità finanziarie, un modo per raccogliere
denaro senza imporre altre tasse, ha scritto Lorraine
Daston. Un principio che Carlo di Borbone fa suo quando
riorganizza il lotto a Napoli, e ne è così convinto che nel
1763, una volta tornato a Madrid, promuove la nascita del
gioco anche in Spagna. Il gioco dei numeri si radica ben
presto nella cultura napoletana, riscuote da subito un successo
straordinario. Vi giocano
in massa nobili, militari, mercanti,
ecclesiastici, ma soprattutto
i più bisognosi, il popolo.
...
Il lotto è terreno di passioni
collettive e di grandi numeri.
In una città di 350 mila anime,
i biglietti emessi per ogni
estrazione sono diverse centinaia
di migliaia e, nel tardo
Settecento, superano spesso il
milione. Nell'arco di poco più
di un secolo, l'investimento
dei napoletani nel gioco del
lotto si moltiplica per sei. Un
fenomeno che non ha eguali in altre lotterie italiane o
europee.
Il rito dell'estrazione
Il tutto si svolgeva nel grande salone
di Castel Capuano, dove confluiscono i giocatori, alte
autorità civili ed ecclesiastiche, un prudente numero di
alabardieri e dodici ''deputati", scelti fra i presenti in rappresentanza
del popolo. La cerimonia è preceduta dalla
celebrazione di una messa solenne. L'urna con i numeri è
di colore rosso, il fanciullo designato ad estrarne i vincenti
è vestito di giallo e porta un bracciale contenente
reliquie sacre. Appena tutto è pronto, una delle autorità
pubbliche legge ad alta voce i novanta biglietti, ciascuno
dei quali porta scritto un numero e il nome della donzella, li chiude in appositi contenitori di forma sferica e li
inserisce nell'urna. Dopo essere stata benedetta da un
ecclesiastico, l'urna viene presa da un paio di magistrati,
che la sollevano bene in vista e la scuotono ripetutamente
fino a che il pubblico urla "Non più, non più!". Allora
viene aperta e il fanciullo estrae cinque numeri, che sono
letti ad alta voce e affissi ad una tabella, mentre qualcuno
fra la gente, ad ogni numero estratto, si affaccia dalla
finestra e lo declama alla folla rimasta per strada.
Le basi del gioco del lotto
Attorno alla beneficiata si sviluppa una complessa attività
di divinazione e di numerologia. I novanta numeri
vengono associati ad altrettanti personaggi, eventi, simboli.
Le scommesse sono il frutto di credenze e pratiche
collettive che prendono forma nell'immaginario di un
popolo intero. Rilevava la Corte dei Conti nel 1819: "II
gioco del lotto si sostiene
sopra due basi: le credenze
popolari e la fiducia nelle
operazioni di Governo".
E a proposito di fiducia, i
napoletani sembrano più sensibili
che altrove ai cambiamenti
politici. Con l'instaurazione
della Repubblica partenopea
del 1799 e durante il decennio
francese (1806-1816), si assiste
ad un crollo vertiginoso
delle giocate. Solo con il ritorno
dei Borbone, le puntate salgono
nuovamente alle stelle.
Lo stesso fenomeno di diffidenza
e riottosità si ripresenta
dopo l'Unità d'Italia. Intanto,
il lotto viene abolito da
Garibaldi nel settembre del
1860, anche se i nuovi governanti
si guardano bene dall'applicare il suo decreto, e infatti
si continua a giocare. Però nel
1862, gli amministratori napoletani
lamentano un calo degli introiti, "essendo ora più
che mai a dismisura cresciuto il gioco clandestino'". In pratica
pur di non versare soldi nelle casse piemontesi, gli abitanti
dell'ex Regno delle Due Sicilie preferiscono giocare
al lotto clandestino. E infatti nel 1864 la prefettura rileva
con preoccupazione "una ritrosia di giuocare per non dare
utile al Governo".
Ma la diffidenza è reciproca. I nuovi
governanti venuti dal Nord manifestano tutta la loro estraneità
verso quella sorta di intesa culturale che i governi
borbonici avevano sempre mostrato nei confronti dei
napoletani. Nel 1883, nel corso di un fervoroso discorso
parlamentare contro il lotto, Giustino Fortunato chiederà
che "innanzi tutto, i simboli e l'apparato del giuoco, non
dico già si dileguino, ma che si attenuino il più che possibile;
e lo spettacolo delle estrazioni, in alcune grandi città,
capoluoghi di dipartimento, in Napoli sopra tutto, spettacolo,
al quale intervengono assessori comunali e consiglieri
di prefettura, riesca meno solenne, non fosse che per la
dignità dello Stato e la serietà del Governo".