Molti ignorano la presenza nel cuore del Vomero di una villa molto estesa, che sta lì dal Cinquecento, con il suo parco, la sua chiesetta, la quale chiesetta ha dato il nome ad una strada ben nota, la Calata San Francesco.
Chi ignora l’esistenza di questa villa non si senta in colpa. Vediamo perché.
L'ingresso della villa passa inosservato, perché è costituito da un cadente portone di un malandato palazzetto situato nella parte più stretta di Via Belvedere. Per la verità esiste al di sopra del moribondo portone la scritta muraria "Villa Giordano", ma anche quei pochi che, camminando in quel tratto stretto di strada, pericolosamente guardassero in alto, difficilmente la decifrerebbero, essendo al limite della leggibilità. Un cartello al di là del portone ci fa sapere che si tratta di un condominio. Se si getta uno sguardo verso l'interno, nulla sollecita la curiosità di esplorarlo. Insomma, per accorgersi che si tratta di un'antica grande, nobile villa, bisogna già saperlo.
La proprietà occupa l'area compresa fra un lato di Villa Belvedere, via Belvedere, Calata S. Francesco e via Aniello Falcone. Anche lungo Calata S. Francesco una lunga serie di bassi e affini, non lasciano sospettare la (passata) nobiltà dell'area che li racchiude, come non lo lascia sospettare nemmeno l'affacciata della villa su via Aniello Falcone.
Il suolo che abbiamo indicato e le costruzioni che vi insistono, inizialmente costituivano il convento e la chiesa di S. Francesco di Paola edificati nel 1585. Il convento dette il nome alla discesa che lo costeggia, in passato detta l’Imbrecciata perché costituita da una scomoda gradinata, e che era uno dei principali percorsi pedonali che collegavano il vecchissimo villaggio del Vomero con Chiaia.
Come molti altri antichi conventi, anche questo di San Francesco di Paola finì in mani private. Il nuovo proprietario lo trasformò in sua dimora, incorporandovi la chiesa che diventò la cappella della villa. Dopo alcuni passaggi di proprietari, fra i quali compare la famiglia Duchaliot, nell'Ottocento la villa fu acquistata dal possidente Filippo Giordano, da cui il nome della proprietà.
Essa si articola secondo il modello adottato nei secoli scorsi per le grandi ville, che ritroviamo nelle altre maggiori ville vomeresi (la Floridiana, Villa Belvedere, Villa Haas), in cui l'ingresso sulla strada è costituito da un fabbricato a sé stante, destinato ai servizi d'entrata, oltrepassato il quale si accede ad un lungo viale che porta all'edificio residenziale.
In Villa Giordano, attualmente, la facciata interna del fabbricato d'ingresso si presenta in uno stato di avanzato degrado. Superato il fabbricato, lo spettacolo che l'antico viale offre poco ha a che fare con quello dei suoi passati tempi migliori. Infatti è offeso dalla incombenza delle spalle dei fabbricati delle proprietà latistanti, contornati da una miriade di costruzioncelle, in totale disordine edilizio. Tutto lascia credere che esse celebrino il trionfo dell'anarchico abusivismo di piccolo taglio, del fai da te, che nessuno ti dice niente. Sul lato destro resiste ancora qualche brandello di antichi giardini. Tutta l'area libera è un esteso disordinato ricovero di auto.
Sulla facciata d'ingresso del fabbricato residenziale interno alla villa, resistono la scritta "Filippo Giordano" ed una lapide firmata da detto Filippo, il quale ci informa che "Il 15 maggio 1884 cessò di vivere in questa villa Angelo Incagnoli, nativo di Arpino, di anni 65". Non ne conosciamo le gesta. Il livello di degrado della facciata, così come da me visto pochi anni fa, lascia presumere che dai tempi di Filippo nessuno più vi si era avvicinato per farvi qualcosa.
Superato l'ingresso dell'edificio residenziale, che ospita modeste abitazioni, si accede in un piccolo cortile. La contiguità della villa con altri corpi di fabbrica crea una situazione costruttiva confusa in cui è difficile capire se e come il Giordano, od altri prima o dopo di lui, abbiano collegato la villa al preesistente convento, nonché come esso sia stato incorporato,
Quando visitai la villa rimasi colpito da un mazzetto di fiori freschi depositato da mani pie e garbate sul portoncino dell'antica cappella, che si trova nel detto cortile, ritengo chiusa da tempo immemorabile. Una commovente e riparatrice stonatura con tutto il prevalente contesto.