La Reggia di Carditello
Il Real Sito di Carditello
Quest’anno ho scelto di trascorrere la mattinata dell’otto Marzo, festa della donna, nel Real Sito di Carditello; c’era un convegno organizzato dal CIF (Centro Italiano Femminile), ed ero stata invitata.
Poiché tutto ciò che è Storia è vita vissuta e conoscenza delle nostre origini, avevo accettato con entusiasmo e non mi sono pentita.
Appena entrata, ho respirato un’aria diversa, "un’aria d’altro luogo, d’altro mese e d’altra vita", come avrebbe detto magistralmente il Pascoli. Una distesa di verde a perdita d’occhio, un silenzio quasi irreale, che di solito non si trova nei luoghi chiassosi affollati dai turisti, circonda la bella palazzina, progettata da Bartolomeo Collecini, amico e collaboratore di Vanvitelli, con le sue otto torri, che serviva come abitazione al re, quando veniva a trattenersi in questo splendido luogo.
I posti di questo genere, detti "Delizie reali" sono ventidue, tutti concentrati tra le province di Caserta, Napoli e Salerno, oltre al Real Palazzo di Venafro, oggi in provincia di Isernia.
Si tratta di vaste estensioni di terreno di origine feudale, rilevate ed annesse alla pertinenza regia.
In altre parole, i re borbonici iniziarono una politica di abbattimento della feudalità, attraverso l’esproprio o l’acquisto di vaste aree, su cui venivano costruite delle riserve di caccia, corredate dalle abitazioni reali e fornite di tutte le comodità allora conosciute.
Ma Carditello non rappresentò solamente un freno allo strapotere dei "baroni" ed un rafforzamento del potere centrale, perché fu un centro di sperimentazione di nuove tecniche agricole e nuove colture, di allevamento del bestiame e di lavorazione sia dei prodotti della terra che di quelli del settore lattiero-caseario. Insomma si trattò di una vera e propria azienda agricola, costruita secondo criteri che, all’epoca rappresentavano l’avanguardia.
Sicuramente vi si allevavano anche "le bufale" e si produceva la mozzarella, ma anche il formaggio "parmigiano", perché Carlo III di Borbone, famoso per la costruzione della Reggia di Caserta, aveva vissuto a lungo a Parma e a Piacenza, in quanto figlio di Elisabetta Farnese, e da quella terra aveva importato persino alcune razze di bvini ed ovini, e, naturalmente, i casari.
Famosi erano poi i cavalli persiani, il cui allevamento, introdotto da Carlo, fu poi continuato dai suoi successori, soprattutto Ferdinando I delle Due Sicilie.
Mi sembrò di vederli galoppare i cavalli, con le criniere al vento, come facevano ogni anno, al tempo di re Ferdinando, quando, per la tradizionale festa dell’Ascensione, Carditello era tutto un tripudio di insegne, di drappi e di colori sgargianti che li bardavano, seguiti appassionatamente dal popolo plaudente e dai reali, che prendevano posto nel Tempietto, al centro del galoppatoio.
Accanto al sovrano sedeva, allora, la moglie Maria Carolina d’Asburgo, tredicesima figlia dell’imperatrice M. Teresa d’Austria, di dichiarate tendenze illuministiche e filo-massoniche, ma che, a quanto pare, nessuno, nel Regno di Napoli , chiamava "la forestiera" o peggio l’Austriaca, come avveniva in Francia per la sorella Maria Antonietta.
Del resto tutti i sovrani borbonici, ad eccezione di Ferdinando II nel primo matrimonio, avevano sposato principesse straniere, e tutte erano state chiamate dal popolo napoletano semplicemente "regine". Pare che Maria Carolina,che aveva un grande ascendente sul marito, al punto di fargli licenziare il potentissimo ministro Tanucci, quando era a Carditello, amasse vestirsi come una villanella e partecipare alle feste contadine della vendemmia e della mietitura, insieme alla sua numerosa famiglia. Ce lo testimoniano, tra l’altro, gli affreschi di J.P.Hackert e di Giuseppe Cammarano, che decorano la camera da letto di Ferdinando, al piano nobile della palazzina reale.
E meno male che non hanno potuto portarli via perché erano attaccati al muro, come, invece hanno fatto perfino con i gradini dello scalone reale, costruiti in marmo di Mondragone!
Sempre al primo piano si trova la "Galleria", ovvero il Salone delle feste, affrescato da Fedele Fischetti nel I791 con "L’Allegoria dei Borboni" e la stupenda "Sala dei dipinti agresti", dove il paesaggio sembra entrare nella stanza, come se questa fosse priva di mura, e ci mostra, da lontano, perfino uno scorcio della Reggia di Caserta.
C’è poi la "Sala oscura", illuminata solo attraverso un espediente architettonico,che permette alla luce del sole di penetrare in un ambiente senza né porte né finestre e la famosa "Tavola matematica", che permetteva ad una tavola imbandita di risalire direttamente dalle cucine alla stanza da pranzo del re, sul modello di quella inventata in Francia per il Trianon.
E ricordiamo ancora la Chiesa, un vero gioiello di arte e di raffinatezza, che non era, come in altre parti, Cappella Palatina, ma Chiesa del Borgo, dove potevano accedere tutti, dai reali ai contadini, dai palafrenieri ai casari.
Ho appreso dal bel libro di Nadia Verdile che spesso i re Borboni cavalcavano all’interno del Real Sito senza scorta, forse per esorcizzare quel "male di vivere" che a quei tempi veniva chiamato "melanconia" o "ipocondria" e che oggi si definirebbe "depressione", considerata una specie di malattia di famiglia. Malgrado ciò non c’è traccia di attentati alla persona del re avvenuti nella tenuta di Carditello, anche perché la monarchia borbonica pareva avesse lasciato alle spalle "L’Ancien Régime" e si muovesse, ormai lungo il filo del dispotismo illuminato.
Un esempio eloquente è rappresentato dallo Statuto di S. Leucio del I Gennaio I789, scritto personalmente da Ferdinando, nel quale si riconosceva ad uomini e donne gli stessi diritti, le stesse opportunità, la stessa quota parte di eredità.
Quanto appena detto nonché alcune splendide realizzazioni operate o caldeggiate dai Borboni come "Le seterie di S. Leucio", "Le ceramiche di Capodimonte", la bonifica dei Regi Lagni e tante altre opere civili anche al di fuori della Campania, non mi hanno fatto certo pensare ad una dinastia di sovrani incolti e fannulloni. Ne ho ammirato, anzi, lo spirito imprenditoriale e la lungimiranza, merce molto rara a quei tempi.
Per quanto riguarda, poi, la cultura, sia a Carditello che a Caserta (per non parlare di Napoli), c’erano biblioteche fornitissime su tutti i rami dello scibile umano, che furono la prima e forse l’unica cosa che i sovrani riuscirono a recuperare, per portarli in esilio.
La repressione del I799, che fece cadere molte teste illustri, fu sicuramente un momento tragico ed oscuro, e quello che sto per dire non vuole certo essere una giustificazione, ma Maria Carolina non era mai riuscita ad elaborare il lutto della sorella morta sulla ghigliottina né il dolore derivante dal matrimonio della nipote Maria Luisa, figlia della sua primogenita Maria Teresa, col più illustre rampollo della Rivoluzione Francese: Napoleone Bonaparte.
Da quel momento la Rivoluzione diventò l’incubo dei Borbone e segnò la fine della loro politica illuminata e filofrancese.
Poco dopo si compirà il loro destino e anche quello di Carditello, "ereditato" dai Savoia.
In seguito Carditello diventerà oggetto di contese, di oltraggi, di abbandono e di vandalismo; verrà perfino messo all’asta per l’acquisto da parte di privati.
Finalmente dal 2014 è proprietà dello Stato Italiano e vi sventola la bandiera tricolore insieme a quella europea.
Chi volesse saperne di più è pregato di andare a visitarlo.
Clementina Corvino