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L'Archivio Storico del Banco di Napoli



Ringraziamo Eduardo Vitale, direttore della rivista l'Alfiere, per averci autorizzato a pubblicare questo articolo dedicato all'Archivio Storico del Banco di Napoli.

L'autore dell'intervento, di cui pubblichiamo un ampio stralcio, è Antonio Silanos.



Se si percorre Via Tribunali avendo in prospettiva l'entrata severa di Castel Capuano si troverà sulla destra, ultima delle fabbriche della via, la nobile facciata del cinquecentesco palazzo Ricca ed oggi sede dell'Archivio Storico del Banco di Napoli.
Il Palazzo Ricca era stato destinato ad "Archivio generale" delle scritture degli antichi Banchi napoletani e del Banco delle Due Sicilie da un decreto del Re Ferdinando I del 29 novembre 1819.


La storia dei Banchi napoletani



Il mondo curiale non era stato estraneo al destino di palazzo Ricca. Infatti nel 1563, un gruppo di avvocati dette vita in alcuni locali della Vicaria, Castel Capuano, al Sacro Monte dei Poveri. Questo fu il secondo a sorgere, degli otto antichi banchi di Napoli, ed aveva come scopo di fornire prestiti  su pegno senza interessi ai carcerati indigenti. Anche grazie a donativi, l'attività si estese al riscatto dei carcerati per debiti, cure mediche  dei poveri, creazioni di infermerie nelle prigioni e altre opere di carità anche all'esterno delle prigioni; il  Monte, che già dal 1600 si chiamò "Monte e Banco dei Poveri",  cresciuto d'importanza per i depositi giudiziari e la buona amministrazione, acquistò nel 1616 da Don Gaspare Ricca il palazzo suddetto e fu dichiarato "Banco pubblico" con Regio Assenso nel 1632.
Istituzioni Pie, cioè Monti, furono in origine anche gli altri Banchi poiché i fondatori miravano più alla beneficenza che al guadagno, al prestito su pegno senza interesse: il "gratioso impronto"; reazione del corpo sociale alla larga diffusione dell'usura nel ex Regno, dopo il lungo travaglio delle guerre di predominio tra Francia e Spagna. Vale ricordare che il Monte di Pietà, fondato per primo nel 1539 dai gentiluomini napoletani Don Aurelio Paparo e Don Leonardo di Palma, concedeva prestiti fino a dieci ducati, conformemente ai canoni della Chiesa cattolica che vietava ai cristiani la pratica dell'usura.
Solo dopo la crisi monetaria del 1622 divennero prevalenti le operazioni su pegno fruttifero rispetto a quello gratuito, però i Monti si erano trasformati ormai in Banchi di circolazione di capitale con clientela stabile.
Dopo il Monte di Pietà e il Monte dei Poveri sorsero successivamente i banchi:
di Ave Gratia Piena nel 1587,
di Santa Maria del Popolo nel 1589,
dello Spinto Santo nel 1590,
di Sant'Eligio nel 1592,
di San Giacomo e Vittoria nel 1598,
del Santissimo Salvatore nel 1640.
Riuniti nel 1794 nel "Banco Nazionale di Napoli", per volere di Re Ferdinando, i Banchi non riuscirono ad evitare il periodo di crisi che portò alla loro soppressione. Infatti, con i Napoleonidi, i Banchi del Popolo e del Salvatore vennero soppressi, il Banco di San Giacomo divenne Banco di Corte, e gli altri quattro (il Banco di Ave Gratia Piena era fallito nel 1702) andarono a formare il Banco dei privati che vivacchiò stentatamente ''senza denari" fino alla soppressione del 1808, quando sorse il Banco Nazionale delle Due Sicilie, società per azioni, istituto di emissione, di sconto di depositi e conti correnti.
Ma anche questo istituto si trovò in difficoltà, sia per la concorrenza del Banco di Corte sia per la scarsa credibilità presso la potenziale clientela. Poi un decreto di Murat del 20 novembre 1809 fuse i Due istituti nel "Banco delle due Sicilie", dotato di  una cassa di Corte e di una dei Privati. Pertanto le scritture che nel 1819 andarono a formare l'archivio Generale rappresentavano oltre due secoli di storia economica, giuridica, sociale, che si era svolta, nel Vice Regno prima e nel Regno poi, attraverso i Banchi.
Esse, accresciute nel 1858 dalle scritture del Banco di Ave Gratia Piena, e dei successivi versamenti di quelle del Banco delle Due Sicilie e del più recente Banco di Napoli (nuovo nome imposto dopo l'annessione al Regno d'Italia), sono collocate nelle circa 300 stanze dell'Archivio di Palazzo Ricca, suddivise nelle due categorie: Patrimoniali, attinenti alla vita interna dei Banchi, e Apodissarie, cioè dimostrative e riguardanti i rapporti dei Banchi con la clientela.


L'Archivio Storico del Banco di Napoli



La consistenza dell'Archivio Patrimoniale è di 2.478 unità di tutti i Banchi, oltre 236 rare pergamene del Banco della Pietà. Questo Archivio è importante per il fondo di 236 pergamene del Monte di Pietà che riportano Regi Assensi, donazioni, contratti, la sezione dei "Dispacci" contenenti disposizioni delle Segreterie di Stato; degli "Arrendamenti"; dallo spagnolo arrendar cioè appaltare, riscossione di tributi dati in appalto a privati o ceduti in solutum a crediti; delle "Rappresentanze", proposte dei Banchi alle autorità di governo; dei "Fiscali", imposta sui fuochi introdotta nel 1443 da Alfonso d'Aragona; delle "Adoe", donativi perpetui biennali a carico dei Baroni; ancora l'importante serie delle "Conclusioni", verbali di adunanze dei Governatori dei Banchi a partire dal 1574.
L'archivio Apodissario, con una consistenza di 276.595 unità, è più immediatamente riferibile alla situazione economica e sociale per il rapporto con la clientela.
Tra le serie più importanti troviamo le "Bancali": fedi di deposito, fedi di credito, madrefedi e polizze. Queste scritture venivano conservate in ordine di estinzione infilzandole con uno spago di canapa munito di un punteruolo di ferro, formando delle "filze" poi appese al soffitto dell'archivio dei Banchi. Fu solo verso la metà del XVIII secolo che le bancali vennero rilegate in volumi di cartapecora.

Le fedi di credito



Va ricordato che la fede di credito raggiunse grande diffusione sia per potervi annotare successivi versamenti e prelevamenti (madrefede), sia per emettere su essa ordini di pagamento (polizze e polizzini) equivalenti a contratti per la possibilità di indicare causale e condizioni di pagamento.
Una prammatica del Viceré de Zunica del 27 giugno 1580 riconobbe alla fede di credito la natura di atto pubblico e, dunque, la natura di documento probatorio decisivo nelle liti giudiziarie; poi uffici e magistrature dello Stato l'accettarono come pagamento d'imposte o di altre somme dovute, ed il Regno Decreto del 12 dicembre 1816 ne previde persine l'esenzione dal diritto di bollo e registro.
Inoltre, la fede di credito, per le garanzie che offriva s'impose come alternativa alla moneta (la cartacea si diffuse in Italia solo dopo il 1866) ed il suo corso legale fu abolito solo con la legge del 30 aprile 1874, sull'emissione di biglietti di banca.
Per questa sua storia secolare la "bancale" è uno straordinario documento di studio; tra l'altro per l'abitudine di abbondare nei dettagli di causali per il pagamento, saggia procedura per evitare successive liti, la bancale ha assunto veste di documento certo ai fini di attribuzioni di opere d'arte. Valga ricordare la sicura attribuzione fatta al Sammartino delle venti sculture di stucco dell'abside di Sant'Agostino alla Zecca e quattordici delle ventisei statue che ornano il Foro Carolino, poi piazza Dante; ancora, diversi affreschi eseguiti da Luca Giordano in San Martino e la statua marmorea di Santa Caterina nella chiesa della Congregazione dell'Oratorio come opera del Bernini.


Ancora altri tesori


Ricordiamo ancora lo stampato del 1789:"Origini della popolazione di San Leucio e i suoi progressi fino al giorno d'oggi colle leggi corrispondenti al buon Governo di Ferdinando IV Re delle due Sicilie", documenti del Banco di San Giacomo e Vittoria per pagamenti in esecuzione di lavori ai telai della Real fabbrica di San Leucio, del 1794, e provvisione mensile per i lavoranti del lanificio del Real Albergo dei Poveri, del 1800.
Come si è  rilevato dalla documentazione esposta, l'Albergo dei Poveri e il Convitto del Carminiello (fondato dai gesuiti per le orfane povere) risultarono attivi nelle manifatture anche nel periodo 1806-1815: tra le fedi di credito e le polizze, i mandati di provvisione del Banco di San Giacomo a favore dei lavoratori nell'opificio de! Carminiello, del 1806.
Dopo la restaurazione, il sorpasso dell'industria tessile su quella manifatturiera e l'individuazione dei poli di crescita nella Valle del Liri, Piedimonte d'Alife, Napoli e il circondario di Salerno si è mostrato con il ruolo propulsivo che il Banco delle Due Sicilie ebbe a sostegno dell'industria napoletana: esponendo in bacheca sconti cambiari e fidi concessi a fabbricanti di tessuti in Sora, come i fratelli Zino, a fabbricanti di carta in Terra di Lavoro o per il lanificio nel Real Albergo dei Poveri. Sottolineata anche la funzione avuta da capitali stranieri, dagl'imprenditori svizzeri, richiamati dalia favorevole politica del governo borbonico. Queste presenze svizzere sono state ricordate tra l'altro, con una fede di credito del 1858 per 630 ducati del Banco delle Due Sicilie-Cassa di Corte rilasciata a Warstaller Zublin & C.
Il percorso documentale, che si spinge fino al 1935,   infine esibisce ricca testimonianza sulla vicenda delle Manifatture Cotoniere Meridionali che riunì tutte le produzioni di Napoli, Angri, Scafati e Salerno, nel 1918.

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