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SEBASTIANO CREANZA



Se sei invisibile cosa t’importa di mantenere la linea? Così affermava un personaggio di un serial televisivo inglese che lamentava in questo modo lo stato d’indifferenza da parte degli altri perché dopo una certa età nessuno si accorge più di te, come se fossi un minuscolo moscerino, … come se non ci fossi proprio.
Questo e altri pensieri accompagnavano Sebio sul trenino che lentamente in pochi chilometri lo portava a Pietra Ligure, verso l’amato elemento, il mare, un weekend organizzato ‘last second’. Preoccupato di portarsi con sé tutto, anche l'effimero, osservava con affetto e ironia il proprio valigione sistemato a fatica sulla griglia in alto, un vecchio trolley con le ruote sgangherate e una serie di danni sulla tela che aggiungevano preoccupazione alla già precaria estetica.
E sì, perché il preoccuparsi è una delle caratteristiche del signor Creanza, il suo modo di essere attento a tutto, anche al minimo dettaglio, per la corretta conduzione di una vita sana, genuina e riguardosa. L'abito non fa il monaco ma spesso il cognome sì. Creanza significa buona educazione, bon ton, la prima attenzione di Sebio.



Da ragazzo ogni nuova conoscenza significava attaccare il solito disco “no, non mi chiamo così come diminutivo di Eusebio, il grande calciatore del Benfica, è stata mia madre a decidere di storpiare il mio vero nome, Sebastiano, mi chiamo Sebastiano Creanza!”.
Se è vero che il cognome talvolta fa il monaco, il nome ancora di più: non si sa se sia nato prima Sebastiano o l’omonimo mitico personaggio; fatto sta che Sebio è l'incarnazione di Bastian Contrario.
Col tempo questa sua caratteristica sorta tra i banchi di scuola per correggere i compagni riguardo al proprio nome di battesimo si è via via rafforzata e consolidata in tutti i contesti della sua vita sociale e privata; già all'età della maturità era un presuntuoso rompipalle.
Durante le interrogazioni i suoi professori erano terrorizzati nel porgli le domande d’italiano, storia e geografia, non osavano correggerlo perché Sebio avrebbe sicuramente provveduto a dire l'ultima parola, se non in aggiunta, proprio a correzione di quanto espresso dagli stessi professori.
L'unico tranquillo era il Prof. Trovato, insegnante di matematica e fisica. La sua materia non era per fortuna opinabile e l'unico diverbio avvenne quando il professore si permise di dire che Albert Einstein era nato in Germania, a Ulm, in provincia di Stoccarda. Sebio sosteneva e non ammetteva dubbi che la Germania non ha province e che comunque Ulm è un grosso capoluogo, certamente non in provincia di Stoccarda.
Le sporadiche assenze scolastiche dovute a leggere indisposizioni o brevi vacanze con la famiglia erano una festa per tutta la classe.
All’appello un coro da stadio gridava ‘ASSENTE!’ L’evento era accompagnato da grossi sospiri, si apriva una finestra sulla libertà d’espressione, sul dialogo tranquillo, sulla pura conversazione ancora con tutte le sue belle imprecisioni e fantasie senza sistematiche correzioni e negazioni.
Quel banco vuoto non veniva occupato perché nessuno voleva rischiare di essere contagiato dal morbo del ‘non è vero …’, del ’sì ma non proprio …’, del ‘non è sempre detto … ‘ e altre espressioni che erano il motivo introduttivo di ogni intervento di Sebio; talora alzava pure la manina con l'indice puntato verso l'alto mentre diceva la sua, aboliva la tua o magari la approvava … ma con qualche riserva.
Siccome raramente si ammalava, i maligni dicevano che perfino i virus, dopo i batteri, si rifiutavano di fargli visita nel timore che al suo contatto potessero subire mutazioni genetiche per effetto del suo sistema immunitario di opposizione dominante. Nonostante il suolo ruolo perennemente non conciliante, Sebio conduceva tuttavia una vita abbastanza normale, quasi come tutti i ragazzi, ma studiava molto. I margini delle pagine dei suoi libri erano piene di annotazioni, precisazioni, integrazioni, correzioni.
Amava lo sport, al calcio giocava come mediano di contrasto, a pallavolo faceva parte del muro difensivo e a tennis si poneva sempre sottorete, pronto a respingere al volo ogni iniziativa avversaria. Seguiva l'arte ma se fosse dipeso da lui, la Monna Lisa poteva essere valutata anche poche lire, la Pietà era come tutte le altre opere marmoree e Picasso, per carità, era spagnolo, non era francese, la verità.
Questo essere presuntuoso certo non lo aiutava ma lui non se ne faceva un problema. I romanzi li lasciava spesso a metà, non era quasi mai d'accordo sullo sviluppo della trama, apriva un quaderno e stendeva la sua personale interpretazione, più corretta, del come e cosa i personaggi dell'opera avrebbero dovuto fare e dire da quel punto in poi. Un po' di fatica in più dovette impiegarla al cospetto della Divina Commedia.  Si limitò solo ad allocare per completezza tutta una serie di personaggi moderni in bolge, cerchi e cieli vari, spostando viceversa secondo la sua modesta opinione i precedenti occupanti in altre collocazioni perché  perché perché …


Il treno procedeva ma appena sembrava che volesse filare un po’ di più ecco che spuntava una stazione con tanta folla e il trenino rallentava, si fermava e diventava sempre più una scatoletta di sardine. Non era ancora passata un'ora che lo scompartimento era già pieno. Sebio era attorniato da nove signorine di colore, forse sorelle, certamente parenti, si somigliavano tanto. Si potevano distinguere grazie agli sgargianti vestiti e foulard che indossavano. Erano nove, più Sebio, dieci, in uno scompartimento per sei persone.
Nonostante ciò dopo una decina di minuti se ne aggiunse un'altra con tutto l'occorrente per farsi acconciare la capigliatura da una delle sue parenti, proprio quella seduta di fronte Sebio.
Le treccine che lentamente prendevano forma e lunghezza erano accuratamente preparate con l'apporto di sottili crini di cavallo.
La curiosità di Sebio era perlomeno pari alla sua mania di precisione e naturalmente dopo pochi minuti era lui a gestire l'ordine delle ciocche da trattare. Il tutto avveniva con la ragazza accovacciata difronte lui, di spalle alla sorella. Mancava solo che la malcapitata giungesse le mani in preghiera per farlo desistere dal commentare e distribuire compiti e misure.
Non era il primo caso d’intervento internazionale da parte di Sebio. Aveva già sconvolto tanto tempo prima la spiaggia libera di Nizza quando una giovane parigina in vacanza si era permessa di cantare ‘in suo onore’ una canzone napoletana.
Intanto dal treno le ragazze senegalesi di cui nel frattempo Sebio conosceva vita, morte e miracoli scesero per loro fortuna alla prima località balneare dove presumibilmente andavano a tenere i loro commerci.


Quando sulle spiagge gli ambulanti erano locali e generalmente venditori di generi alimentari, era un evento trovare qualcuno che vendesse costumi, abiti e foulard. Quando capitava, si formava il solito capannello di gente. Era la spiaggia dove Sebastiano aveva conosciuto il suo primo amore. Lo aveva colpito una cotta incredibile per Donatella. Minuta con stupendi occhi blu, tutti la chiamavano Donata.
Per non smentirsi e per non essere alla pari degli altri la chiamava Dona. La povera Donatella si guardò bene dal rivelare che anche in classe la chiamavano Dona, sfuggì così all’eventualità del tutto verosimile che Sebio cominciasse a chiamarla Do. Ma gli voleva bene, un mondo di bene. La storia non superò l’estate. Si lasciarono all'ennesimo contraddittorio. Il ragazzo prese atto della decisione di Donatella, se ne andò in collina, comprò una bottiglia di pessimo vino e se la scolò. Tornato a casa, non si sa come, la mamma si accorse subito dello stato inconsueto del figliolo e gli impose di fare immediatamente una doccia e Sebio tutto vestito obbedì.
Al grido di ‘viva Garibaldi’ e ‘viva Donatella’ per circa un giorno e mezzo rimase in camera sua a smaltire la sbornia e la delusione amorosa. Grande fu l’imbarazzo nell'ambito familiare ma il più interdetto sembrava essere il povero nonno; cercava di capire cosa ci azzeccasse Garibaldi in sodalizio con Donatella, magari fosse stata Anita …. Quando il ragazzo si riprese, fu prontamente interrogato dal vecchio, uno degli ultimi istanti d’infelicità del povero nonno.
Sebio lo assalì con un’insopportabile questione sulla possibilità che esistesse un altro Garibaldi non eroe e, magari contemporaneo, suo amico, da lui simpaticamente appellato Gary e poi, non avrebbe mai potuto pronunciare un’esortazione di 'Viva' per una persona ormai defunta da secoli. Fu allora che il nonno decise di spendere la sua pensione presso una vicina casa di riposo implorando i propri congiunti di andare a fargli visita spesso, possibilmente senza Sebio.


La stazione era abbastanza distante dall'albergo ma il valigione era pesante.
C'era un solo un taxi pronto per accompagnarlo in albergo, il taxi era pronto ma non il tassista che caricava molto lentamente il bagaglio non prima d’aver sistemato specchietti, cinture, ventilatore aggiunto, fazzoletto al collo, bandana in testa e maniche della camicia.
Alla puntuale precisazione di Sebio che tutti quei minuti di accomodamento personale non aveva nessuna intenzione di pagarli, fu invitato a ridiscendere dal taxi e cercare un passaggio alternativo. Sebio raggiunse a piedi la pensione Miramare.
Chiese subito perché si chiamasse così giacché distava dal lungomare più di 300 metri. Sosteneva che doveva chiamarsi piuttosto ‘Immaginamare’. Il portiere non apprezzò molto la battuta ma non potendo scaraventarlo lì da dove era entrato pocanzi, si limitò a una brevissima e sorridente richiesta di documenti. Non gli avrebbe più rivolto la parola.


Quando era in servizio presso la società assicurativa dove svolgeva mansioni di programmatore informatico, gli capitava sovente di frequentare corsi di aggiornamento fuori sede e lo conoscevano ormai molti alberghi di Roma e Milano.
Le sue osservazioni erano continue, inutili, antipatiche e ripetitive. I cambi di turno del personale addetto erano immediati non appena veniva fatta la prenotazione per Sebastiano Creanza.


Stanco per il breve ma lungo viaggio consumò un veloce pranzo e andò subito a schiacciare un pisolino. Il frastuono e la voglia di toccare il mare lo fece subito ridestare e dopo pochi minuti era sotto l’ombrellone a lui riservato.
Cocco, cocco, cocco di mamma. Gridava l’ambulante a pochi passi da lui, povero diavolo. Sebastiano lo convocò immediatamente deludendo la sua speranza di vendere qualche fettina di noce.  Fu rudemente accusato di uso improprio dei termini, poiché il ‘coccodimamma’ nulla aveva a che vedere con gli esotici frutti e perciò avrebbe dovuto optare per uno spot più appropriato. Dopo secoli e generazioni che si erano susseguite nel vendere cocco ed evocando il cocco di mamma doveva capitare proprio lì in quel momento quel rompiscatole a turbare il negozio. La questione non fu risolta, il venditore ammutolì. Percorse rapidamente dieci-venti metri più in la e, posata la grossa cesta, giungendo le mani attorno alla bocca emise un suono a metà strada tra la sirena di un transatlantico e il rombo di un potente fuoribordo. “COCCODIMAMMAAAAAAAAAAAAA”. Pare che sulle coste della Corsica si fosse temuto uno tsunami in arrivo.
Sebio aveva detto la sua, fece spallucce e continuò ad annotare i commenti sul libro che aveva appena cominciato a leggere, cioè a correggere.
Passate le canoniche due ore e tre quarti per la corretta digestione, si tuffò in acqua senza accorgersi di indossare ancora gli occhiali da vista. Immediatamente i ragazzini attorno si proposero di dare un saggio delle loro qualità subacquee e con pinne, maschera e boccaglio si misero subito alla ricerca dell’oggetto affondato.
Quando Sebio si fu accorto che, in effetti, i suoi occhiali erano rimasti impigliati nei suoi stessi boxer, richiamò a gran voce i ragazzi non senza far notare loro che prima di dar vita a quella sorta di competizione avrebbero dovuto verificare la possibilità che l’oggetto stesse ancora in superficie, come del resto era. E così fu che Sebio si fece altri ‘amici’. Andando di questo passo prima del tramonto poteva arrivare a provocare un intervento dei caschi blu dell’ONU, non certo ricevere il premio Nobel per la pace.


A inizio anni novanta, considerata la sua esperienza da pioniere informatico e la fama che in qualche modo (parlate di me, parlate male di me, purché ne parliate) si erano andata consolidando, fu ingaggiato dal Goethe Institut della sua città per collaborare alla programmazione e gestione dei giorni di un seminario che avrebbero avuto per tema il World Wide Web, il neonato Internet.
Naturalmente gli incontri preparatori divennero dei veri e propri scontri volendo Sebio necessariamente comunicare che Internet non era nato da poco ma addirittura a fine anni sessanta, solo che ne era stata frenata la divulgazione per interessi accademici e soprattutto militari.
Questo suo modo di affrontare un programma organizzativo, ponendosi subito su di un piedestallo, irritava molto il direttore Winkelmann che non faceva mistero della sua intolleranza verso il Dott. Creanza, tant’è che sistematicamente si faceva portare dal bar un mezzo ‘scotch’ a mo’ di anestetico mentale contro i disturbi da pignoleria acuta provocati dal contatto col saccente esperto informatico del gruppo.
Per evitare di doversi prima o poi farsi ricoverare per esaurimento e/o alcolismo indotto, delegò la sua segretaria Kristina Loewe di seguire la pianificazione, tanto lei era astemia e molto paziente.
Cristina era paziente, avvenente e intelligente. Propose quindi di escludere il Dott. Creanza dall’ambito organizzativo, riservandogli però l’intero spazio di una delle giornate del seminario, improntato esclusivamente sui temi tecnici del cosiddetto villaggio virtuale, come veniva chiamato a quei tempi l’impero del Web.
Sebio percepì qualcosa di penalizzante nella proposta di Kristina ma lo spazio tutto per se per un’intera giornata e soprattutto i modi dolci e seducenti della bionda segretaria davanti a due pizze margherite fumanti lo convinsero ad accettare. Il giorno dopo il Direttore Winkelmann riprese il posto a capo del gruppo e cominciò a consumare solo balsamici cappuccini con spruzzatina di cacao del vicino Bar Riviera.
Le giornate del seminario furono un successo, tranne una. Quel dì maledetto Sebio fu capace di aprire questioni con tutti gli astanti o perché non ponevano domande, o ne ponevano troppe o le ponevano male, un disastro. Ne parlarono perfino i quotidiani locali, ma per sua fortuna o sfortuna alla seduta sciagurata era presente l’illustre sociologo De Carlo che intravide nel Dott. Creanza un interessante soggetto di studio sui temi della comunicazione. Cercò quindi di proporgli di cambiare terreno e di partecipare, cavia a sua insaputa, a dei test sulla capacità comunicativa da tenersi nei vari ambiti dello scibile. Sebio si faceva affascinare spesso dalla possibilità di stare alla ribalta ma intuì la trappola e respinse.


E chi c’era nella tavernetta dell’albergo destinata a piano-bar? Proprio lei, Kristina Loewe, un po’ appesantita, ma con lo stesso sguardo affascinante. Era in compagnia di un’altra persona che Sebio ricordava di vista, una collega della segreteria dell’Istituto, Clarissa Capodonico, di origini albanesi ma dall’accento spiccatamente partenopeo. Quale migliore occasione per rivangare il passato e magari chiarire la vicenda del seminario, che personalmente non aveva mai digerito del tutto. Dopo i convenevoli del riconoscimento si spostarono dunque nel vicino ristorante. Le signore ordinarono del ‘prosciutto e melone’ lui ovviamente ‘melone e prosciutto (in ordine alfabetico)’. Il cameriere servì dapprima le signore e nel secondo viaggio col terzo piatto sembrava un atleta delle Olimpiadi pronto a scaraventare il disco il più lontano possibile, facendo tappa sulla fronte di Sebio.
Tra insopportabili battute e continue, solite precisazioni, la sfortunata serata delle due signore finalmente finì. Il mal di testa di Clarissa non era una scusa e i tre si salutarono. Sebio era convinto di essere stato brillante e specchiandosi nella bottiglia mezza vuota (lui avrebbe detto ‘mezza svuotata’ perché quando la si riempie c’è un momento in cui è ‘mezza riempita’), specchiandosi dunque nella mezza bottiglia, si diede un colpetto correttivo alla cravatta, si alzò e dopo avere salutato, non ricambiato, il cameriere, si diresse presso la sala TV.
Stavano trasmettendo un incontro di scherma. Un’anziana signora si permise di dire che era un incontro di sciabola femminile. Apriti cielo! Sebio cominciò a tenere una lezione di teoria e storia della scherma dai tempi di Abramo ai giorni nostri e soprattutto a precisare che mai e poi mai la specialità della sciabola poteva non essere esclusiva maschile, quindi o erano due maschietti a sfidarsi o l’arma era tuttalpiù una spada.
Qualcuno gli fece notare che le stanze erano tutte dotate di apparecchio televisivo e che poteva starsene comodamente sdraiato sul letto a seguire l’incontro. Fu un modo garbato di espellerlo dal contesto, l’alternativa erano calci sul sedere fino al primo piano, dove velocemente ed un tantino indignato Sebio si recò, aprì la porta della sua stanza e si preparò per andare a dormire, tanto a lui la scherma non era mai piaciuta.
Preferiva l’atletica malgrado fosse stato sull’orlo di una querela per turbativa dell’assemblea da parte di un dirigente della FIDAL quando durante una conferenza stampa, col ditino alzato propose una semplice ma coerente modifica da apportare alle corse in pista, cioè quella di farle percorrerle al contrario, come corrono le lancette dell’orologio. Dopo neanche mezzo giro di lancetta dei secondi si trovò fuori accompagnato da due atletici omoni in giacca, cravatta e auricolare impiantato. 
Fu così che sdraiato sul letto riapparvero alla sua mente i dettagli della sua conoscenza di Clarissa Capodonico. Non era stata una banale storia, bensì un vero e proprio giallo.


In un afoso tardo pomeriggio di ritorno a casa dopo una svogliata giornata di lavoro Sebio percorse il solito itinerario, si fermò al solito tabaccaio della Riviera, proferì l’immancabile galante battuta nei confronti della figlia dell’esercente, rimise in moto la Vespa e … no, stavolta dovette prolungare il pit-stop quando una ragazza dai profondissimi occhi neri, più neri dei suoi brillanti capelli, lo fermò garbatamente, rappresentandogli il proprio stato di smarrimento. Disse di essere una provinciale, appena sbarcata in città per occupare un alloggio per studenti, inciampando nella sgradita sorpresa di trovare la camera già occupata per un evidente equivoco intercorso con il proprietario. La richiesta della ragazza di ricevere informazioni su eventuali alternative in merito non colse Sebio di sorpresa, sempre pronto e documentato su ogni cosa. Aveva già progettato tutto, prima ancora che Maria Rosa, questo era il suo nome, proferisse le ultime sillabe di soccorso. L’offerta ipotizzata comprendeva una sistemazione momentanea in una monocamera utilizzata da un gruppetto di colleghi di lavoro in quei momenti di relax evasivo e magari un po’ trasgressivo, insomma una garconniere; in alternativa, laddove uno dei suoi amici proprio quella sera avesse avuto bisogno di ritemprare lo spirito, c’era una stanza a casa sua, momentaneamente libera, essendo la famiglia in vacanza. Questa comunque sarebbe stata una chance da tenere assolutamente di riserva essendo lei una giovane e avvenente ragazza e lui un gentiluomo galante sì, ma rispettoso delle forme e dei contenuti. Decisero, anzi propose lei di risolvere la questione davanti ad una fumante impepata di cozze, sempre sotto la guida dal suo Cicerone, che certamente ne conosceva di trattorie, pizzerie e locali affini, lei poverina veniva da fuori …. Nel giro di 4, 5 ore furono consumati nell’ordine due impepate, tre Heineken, due tiramisù, due inutili pigiami e altrettanti contraccettivi. Nelle poche parole a contorno del dopocena di quella notte Maria Rosa confessò amenamente che stava lì lì  per sposarsi ma che prima dell’evento aveva intenzione di regalarsi un’ultima riservatissima avventura da single, anche perché il suo fidanzatino non era tanto per la quale e allora …. Ma disse anche che – guarda la combinazione e come è piccolo il mondo!  – il nome Sebastiano Creanza lo aveva sentito qualche giorno prima da una sua collega di studi, Anna Spatarella, anche lei del suo paese ed anche lei da poco a Napoli.
Sebio non s’insospettì più di tanto, almeno durante i momenti più intimi e interessanti, ma non appena la ragazza la mattina seguente fu riaccompagnata nel medesimo posto del casuale incontro, subito dopo capì che la citata Anna Spatarella lui l’aveva conosciuta due giorni prima, in una situazione analoga, però di giorno e a piedi mentre lui cercava di spiegare a un vigile che aveva attraversato la strada in diagonale e fuori delle strisce per accorciare il percorso. La ragazza era intervenuta per intercedere spontaneamente in favore dello sconosciuto Sebio che stava per beccarsi una sonora contravvenzione, forse più per il suo modo di porsi che per l’infrazione commessa. In questo modo i due si erano conosciuti e nello stesso modo di Maria Rosa avevano approfondito la loro conoscenza a casa Creanza.
Ma il giallo dov’è? Il giallo, piuttosto rosa, fu svelato qualche ora più tardi presso l’Istituto Goethe proprio da Clarissa Capodonico, amica da sempre di Maria Rosa e Anna, due allegre ragazze di Posillipo che con Clarissa pochi giorni addietro avevano fatto una scommessa su chi avrebbe conquistato il tenero affetto di Sebastiano Creanza, che nessuno poteva sopportare ma che proprio per questo qualche dote nascosta doveva pur avere. Clarissa, in lacrime non per la vergogna del complice nefando progetto ma soprattutto per non aver consumato neanche la terza fettina di quella torta, confessò dunque la soluzione del giallo al malcapitato – si fa per dire – Sebio.


Si risvegliò così come si era poggiato sul letto e accortosi dall’ora che stava sforando il termine previsto per la prima colazione, chiamò il bar e ordinò che gli fosse portata in stanza.
Lo spavento e il subbuglio pervasero il bar e la cucina dell’albergo e fu subito organizzato un sorteggio per chi sarebbe stato il condottiero di quella battaglia persa in partenza, cioè portare il vassoio del breakfast a quel rompiscatole del Dott. Creanza che avrebbe sicuramente inguaiato la mattina e l’intera giornata al prode eroe sorteggiato.
Per la precisione fu un’eroina, una cameriera peruviana che in realtà era diplomata al suo Paese in arti marziali nonché campionessa di sollevamento pesi. Mentre la mastodontica fantesca si recava verso la stanza dell’agone con il comprensibile dubbio che il sorteggio fosse stato leggermente pilotato, l’avversario era docilmente appoggiato sul letto, mani dietro la nuca, occhi rivolti al soffitto, ripensando alla piacevole beffa di tanti anni prima. Lo stato estatico di Sebio e la presenza molto rappresentativa della cameriera non ispirarono alcuna osservazione da parte dell’uomo, si limitò solo a commentare che il termine prima colazione era un’inutile lungaggine essendo ormai in disuso la seconda colazione per indicare il pranzo e addirittura la terza … Sebio non finì di pronunciare la parola cena perché Dolores aveva ormai liberato il vassoio e aveva assunto un minaccioso atteggiamento guerresco con quella guantiera che ora in mano a lei sembrava un foglio di carta velina ma che sulla testa di Sebio avrebbe potuto assumere ben altra consistenza.
La questione finì lì, la ragazza desistette dal commettere l’insano ma liberatorio gesto, indietreggiò con passetti da geisha, a mani giunte implorando a bassa voce la Madonna Addolorata di non incontralo mai più, richiuse la porta della camera alle sue spalle e ridiscese le scale avvertendo la Consierge che il mostro di lì a poco si sarebbe presentato a regolare il conto e togliere finalmente il disturbo alla comune.
E così fu, dopo una veloce doccia e sistemazione del bagaglio si preparò per la sua ultima rappresentazione, in portineria, al cospetto dello stesso povero cristiano che l’aveva accolto il primo giorno. Chiese con invidiabile candore che gli venisse predisposto il conto … alla rovescia. Pretendeva in pratica che gli fosse mostrato l’elenco di tutto ciò che l’albergo poteva offrire e lui avrebbe depennato ciò di cui non avrebbe usufruito per vedere che le due somme sarebbero coincise. Era l’ultimo sacrificio che lo sventurato doveva sopportare dal Dott. Creanza. Tuttavia Sebio s’intenerì e si rimise in testa la proposta, temendo di perdere il suo treno di ritorno.
Ma una domanda il direttore dell’albergo che era lì accanto voleva proprio fargliela, doveva capire se questa sua abitudine comportamentale verso le cose contrarie alla consuetudine lo faceva sentire meglio, migliore degli altri. Sebio non si turbò e rispose sinteticamente con un esempio assai rappresentativo.
“Quando metto in moto l’auto la mattina, devo fare prima 50 metri in retromarcia, così la giornata andrà sicuramente bene”.        
Non ci furono altri interessi reciproci per proseguire la conversazione. Gli fu offerto di accompagnarlo alla stazione con il pulmino dell’albergo, anche perché quel mattino era in corso un improvviso sciopero dei trasporti pubblici.    
Da solo com’era arrivato, da solo com’era ripartito, da solo come ha sempre vissuto, Sebastiano Creanza ripercorse il tragitto di ritorno girandosi i pollici e scuotendo ogni tanto la testa, in disaccordo con gli stessi suo pensieri. Si era attivato il solito pericoloso vortice mentale dal quale lui non riesce mai ad uscire facilmente senza l’aiuto di una terza entità, la vittima di turno verso la quale rivolgere i suoi contrasti, le sue ossessive precisazioni, le sue orrende battute, l’effetto di una continua ribellione verso le altre informazioni, gli altri umori, contro la normale ed imperfetta esistenza di tutto il prossimo che partorisce errori ma anche tanto amore.

di Mauro Ventura

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