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Rampe di Sant'Antonio


Mauro Ventura ci racconta di uno degli appuntamenti sportivi più importanti della Napoli di qualche anno fa, appuntamento peraltro caratterizzato da una notevole partecipazione popolare.
Al volante di una semplice 500, ogni napoletano poteva vivere per qualche minuto le sensazioni di un pilota al Rally di Montecarlo...


Grand Prix di Sant’Antonio



Appuntamento agonistico di un certo effetto, il Gran Premio automobilistico di S.Antonio si svolge cinque volte alla settimana per tutto l’anno. Ad agosto la gara si ferma ed allora il circuito diventa terreno di prove. Ma qual è questo circuito?
Coincide con le rampe di S.Antonio a Posillipo, cioè la serie di stretti tornanti che congiungono via Orazio con Piazza Sannazzaro senza passare per Mergellina; è la classica scorciatoia per chi al mattino, con molta fretta e stomaco saldo, deve scendere al lavoro provenendo dalle colline del Vomero e di Posillipo.
Veniamo alla gara.
E’ una spericolata crono-discesa mista a rally, una sorta di scivolo automobilistico, un tuffo verso il mare, una competizione che mette a dura prova le condizioni metaboliche dei partecipanti, tra le 7,30 e le 8,00 del mattino.
In palio vi sono la quotidiana piccola gloria del record di discesa per i più veloci e premi di consolazione che gratificano solo la puntualità al lavoro.
Non vi sono regole particolari, tutto è concesso, senza limiti di cilindrata o numero di componenti l’equipaggio. La scelta delle gomme è libera ma certamente influenzata dall’ultima curva, per sua natura molto scivolosa, la curva dell’ospedale della Marina, oppure la penultima, quella dei ‘cati d’acqua saponata degli alloggi a pianoterra, … i bassi’.
Essendo una gara a cronometro non vi è una pole-position ma è certamente fondamentale partire senza avere dinanzi degli sprovveduti ed è per questo che c’è una bagarre iniziale sul sagrato della pittoresca chiesa di Sant’Antonio, unico spazio ampio del percorso. Qui si sgomita sempre un po’ per l’imbocco privilegiato del primo tornante.
Vi partecipano in tanti ma al contrario di quanto accade nei circuiti internazionali nessuno, salvo rare eccezioni, ha mai personalmente conosciuto gli antagonisti, pur avendo una fortissima conoscenza delle vetture avversarie, marca, modello, potenza, colore, targa, modo di affrontare le curve, punti di debolezza.
Il pubblico è sempre lo stesso, gli affezionati occupano gli spazi prospicienti il traguardo, sono gli abitanti affacciati ai ‘bassi’ a ridosso delle ultime curve. Donne in vestaglia, uomini con spuma da barba in faccia, bimbi in grembiulino, cani assonnati, agilissimi gatti e qualche incosciente per strada professano quotidianamente il loro tifo silenzioso vagamente distratto. Lo sventolio spontaneo e festoso dei ‘panni stesi’ completa la perfetta coreografia di un vero gran premio.
Ma è anche un rally e le difficoltà sono costitute prima di tutto dal pilastro posto al centro della carreggiata dopo il primo tornante. E’ importante lasciarlo sulla propria destra dopo aver ingranato fuori-giri la seconda (c’è chi se lo lascia a sinistra ma solo i più esperti).
Seconda difficoltà è la presenza di un personaggio particolare, vera istituzione della gara. E’ un non-vedente che sistematicamente pochi metri dopo il pilastro staziona con il pollice alzato alla ricerca di un passaggio. La difficoltà consiste nel fatto che a turno almeno una volta all’anno i partecipanti sono tenuti, deontologicamente, a concedergli uno strappo fino a Piazza Sannazzaro. Difficoltà nella difficoltà, il soggetto in questione, quantunque cieco, è piuttosto mariuolo, ti dice di stare attento a sinistra mentre con mano lesta ti fa sparire qualcosa dal portaoggetti. Incredibile ma vero. Terza ed ultima complicazione è una ‘Fiesta nera’. Il suo conducente, una sorta di kamikaze involontario, è un signore magro con i baffi, dall’aria sistematicamente stravolta, che ha l’unico torto di abitare giù e lavorare su. Chissà quante volte avrà pensato di cambiare casa o lavoro. Ma ormai fa parte della sua vita, è rassegnato a questo ruolo. Le vetture che lo evitano da tutti i lati, le conosce tutte e ormai si sente il vero e proprio arbitro della gara.
Il punto di rifornimento è virtuale. All’altezza del ristorante Sbrescia i primi fumi di cucina danno un certo sostentamento almeno morale.
Le due o tre edicole votive sparse lungo il percorso non sono in ricordo di vittime della gara ma solo offerte di ringraziamento dei primi vincitori, i pionieri di S.Antonio.
Un giorno accadde l’imprevedibile, anche se è difficile parlare di imprevisti in una città dove la cosa più scontata è proprio l’imprevisto. Un camion da traslochi decise di inerpicarsi per le rampe alle 7,30 in punto, zeppo di mobili e palesemente in difficoltà. Nel bel mezzo della sua seconda curva fu inevitabile il blocco del furgone un po’ per il carico e un po’ per l’acuta angolatura della strada. Non andava più né avanti né indietro non lasciando neanche un centimetro di viabilità agli altri. Il conducente, paonazzo di rabbia, fatica e imbarazzo, passatosi un fazzoletto sul collo, scese dal posto di guida ed allargando le braccia di fronte all’irreparabile, si sedette rassegnato sul ciglio della strada. Nel giro di pochi secondi si fermò in discesa la lunga teoria dei corridori. La gara era sospesa, non succedeva dai tempi di una prova di ‘Via Crucis’ della vicina parrocchia di Piedigrotta qualche anno prima. A poco a poco uscirono tutti dalle auto balbettando stupore e inevitabili parolacce. L’ignobile quanto ipocrita rivendicazione del rispetto del proprio orario di lavoro celava la vera delusione dell’agone interrotto. I più tranquilli ne approfittarono per farsi il nodo alla cravatta appena poggiata sul bavero della giacca, altri rimasero al proprio posto guardandosi intorno magari notando scorci di paesaggio mai presi in considerazione. E per la prima volta si creò il dialogo.
Si intrecciarono quindi conversazioni di accusa su vecchie scorrettezze, di elogio per qualche ardita manovra, generiche informazioni sulle autovetture, ma anche sulle rispettive attività, orari, abitudini. Intanto il camion era sempre lì ed il problema cominciava a prendere corpo.
Ma fu proprio l’arbitro in Fiesta nera a lanciare l’idea. In pochi secondi decine di campioni del volante si tirarono su le maniche e sbloccarono in qualche modo il camion. L’antagonismo inveterato, necessità che diventa virtù, si trasformò in un vivo slancio di solidarietà.
E’ stata l’unica occasione in cui l’affezionato pubblico di questa particolare competizione ha avuto modo di accomunare in un bel applauso tutti i contendenti. Pare sia scappato anche qualche autografo, foto-ricordo e tazze di caffé per i propri beniamini.
Il giorno dopo tornò tutto, diciamo, normale con una difficoltà in più: le tracce d’olio lasciate dal camion.
Mai nulla ha scoraggiato questa gente. Lo spirito della competizione più che la voglia dei andare a lavorare sarà sempre vivo e la Madonna di Piedigrotta patrocinerà moralmente e per sempre la gara. Darà una mano a tutti, due mani alla Fiesta nera e una strizzatine d’occhio al vigile urbano sistematicamente assente.

Tutto ciò in verità accadeva, le rampe di Sant’Antonio ormai si percorrono solo a senso unico in discesa, le auto sono pochissime e tranquille, regna il silenzio quasi a non voler turbare anche il solo ricordo di un fatto che ormai si era istituzionalizzato, come il sorgere del sole e il lavavetri giù al semaforo d’arrivo.

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