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La stanza di Dracula


Pubblichiamo un altro bel racconto di Bruno Pezone .



-Anche per me un bitter… bianco, però – aggiunse il professor Stefan Cazacu, lanciando un’occhiata distratta verso il ragazzo che raccoglieva l’ordinativo.
-Ma come, bianco e non rosso!?… Da lei proprio non me l’aspettavo – disse l’avvocato Marone, rivolgendo un sorriso franco e scherzoso al suo interlocutore che gli stava seduto di fronte.
-Ma è proprio per questo… che l’ho chiesto bianco! – fu la risposta di Cazacu, dopo una breve esitazione, non avendo colto subito la freddura – Fino a mezz’ora fa ho parlato di sangue… adesso un poco di riposo, basta col rosso, almeno fino “al calare delle tenebre” – e scoppiò in una grassa risata.
Le due coppiette di ragazzi, sedute un paio di tavolini più là, si voltarono incuriosite.
-Se non sapessi che lei è Rumeno, mai lo immaginerei – riprese l’avvocato, cambiando discorso – il suo italiano è perfetto; quasi non si avverte neppure l’accento.
-La ringrazio, ma sono stato in Italia parecchie volte, e poi anche la mia è una lingua neolatina.
Il professore spinse leggermente indietro la sedia su cui era accomodato, per consentire al cameriere di sistemare sul ripiano del tavolino il vassoio con i due bitter, uno bianco e uno rosso, e le tre coppette di vetro con le patatine fritte, le arachidi e i salatini.
-Mi sembra incredibile – riprese, dopo aver pizzicata una patatina – aver trovato alla mia conferenza, di giovedì pomeriggio, un avvocato. Sa… uno immagina che di pomeriggio, alle quattro, nel cuore della settimana, un avvocato sia impegnato nel lavoro di studio, e difficilmente trova il tempo per venire ad ascoltare una conferenza… su Vlad Tepes –
Probabilmente quella precisazione l’aveva fatta per non apparire indelicato.
-E ha pure ragione, perché quest’oggi ero tutt’altro che libero da impegni. – rispose l’avvocato Marone – Avevo due appuntamenti, ma l’occasione di perdermi la conferenza non potevo lasciarmela sfuggire… troppo affascinante il tema… Dracula tra storia e leggenda… - quest’ultima parte della frase l’aveva pronunciata con tono buffamente enfatico.
-È rimasto deluso – esclamò di colpo il professor Cazacu, dopo un lungo sorso di bitter bianco - … Dica la verità! – Posò il bicchiere e diede una sistemata alle punte del panciotto rosso cupo, al di sotto della giacca a doppiopetto grigio antracite.
-No, no… tutt’altro; i riferimenti storici su Vlad Tepes erano precisissimi… – La negazione insistita non suonava convincente.
-E’ rimasto deluso! Lo dica, non m’offendo mica?!
-Diciamo che… sì sono rimasto, ecco, rammaricato! … Nel senso che ha smontata – era stato per dire “distrutta” – una leggenda… o forse molto più semplicemente ero io che mi auguravo che tra il principe Vlad e il Conte … di Bram Stoker ci fosse un qualche collegamento. Insomma, mi pare che la storia lasci ben poco spazio al mistero.
Un sorriso appena ammiccante fu l’unica reazione di Stefan Cazacu, che nel frattempo aveva afferrato un paio di arachidi dalla coppetta.
No, forse rifletteva…
Il grosso manifesto con la riproduzione del Nosferatu di In search of Dracula, solo a due colori, rosso e nero, su cui campeggiava la scritta Alla ricerca di Dracula – Tra Storia e Mistero, quel pomeriggio aveva catturato la curiosità dell’avvocato Oreste Marone.
-Mi trovo a Via Mezzocannone… e non credo di riuscire a venire allo studio – aveva detto al collega Alfredo Bevilacqua.
–Veditela tu con gli appuntamenti di quest’oggi, e se hai difficoltà chiamami sul cellulare; insisti, però, ché lo terrò con la suoneria bassa… Mi sono ricordato di aver un altro appuntamento da queste parti. – Chiuse il telefonino prima che dall’altro lato partissero le “giaculatorie”…
Ho mentito spudoratamente, pensò. D’altro canto non avrebbe potuto fare diversamente: Alfredo si sarebbe fatto prendere da una crisi di nervi, se gli avesse confessato il vero motivo della sua assenza:
-Ma si asciuto pazz’e cervello, Orè? – gli sembrava di sentirlo – Qua teniamo i cazzi che c’abballano dint’a capa, e tu pensi ad andare a ‘na conferenza… sui vampiri! Da piangere!…
Gli venne da ridere.
Si incamminò, come indicato dal manifesto, verso la Facoltà di Lingue Orientali. Erano le quattro meno dieci.
Nell’Aula Magna l’uditorio era costituito, per la maggior parte, da studenti e Oreste, che studente lo era stato almeno trent’anni prima, era oggetto di sguardi di curiosità.
Il suo abbigliamento di taglio anglo-partenopeo (era la definizione affibbiatagli in Tribunale – e più azzeccata non avrebbe potuta essere), con ogni probabilità, aveva ingenerato, negli osservatori, il convincimento che lui “poteva essere” il relatore della conferenza – il professor Stefan Cazacu, dell’Università di Bucarest – il cui nome spiccava in calce al manifesto, insieme a quello del professor Valerio Caprara, organizzatore del Convegno.
Alle quattro e cinque esatte, i due, facendo il loro ingresso nell’Aula, avevano sciolto l’equivoco, con piena soddisfazione dell’avvocato Marone: finalmente le sue scarpe all’inglese, color testa di moro, lucidissime, e il colletto alto della camicia, che sbucava dalla giacca grigia con l’abbottonatura alta, non interessarono quasi più nessuno …Quasi, perché il professor Cazacu e lo stesso professor Caprara, più di una volta, si soffermarono a sbirciare verso quella folta capigliatura brizzolata, che evidentemente risaltava fra chiome nere e incolte, barbe lunghe, pizzetti, treccine e piercing.
Durante le circa due ore di conferenza l’avvocato Marone pensò più volte alle coronarie di Alfredo: forse non ne era valsa la pena metterle sotto stress, a fronte degli argomenti trattati.
Bram Stoker e Dracula, difatti, erano stati nominati, sì e no, un paio di volte, e mai collegati agli aspetti storici esposti dal professor Cazacu. Finanche il professor Caprara, sebbene curasse il corso di Storia e Critica del Cinema, ben si era guardato di parlare del Conte Dracula dell’immaginario collettivo, a parte un brevissimo riferimento, nella fase introduttiva della conferenza, alla Transilvania e a Borgo Pass nei Carpazi.
Bella fregatura, fu il pensiero di Oreste al termine della lezione; perché, a conti fatti, si era trattato di una vera e propria lezione di Storia!
Sai quanto me ne può fregare della storia della Transilvania, fu la sua conclusione mentre a piccoli passi, seguendo la calca, si allontanava dall’Aula Magna. Che delusione.
Chi lo sa, pensò, se tutti quei giovani erano venuti per “farsi vedere” dal professor Caprara, o perché attratti, come lo era stato lui, dal manifesto: era quello l’unico mistero rimasto!
Sette-otto metri dinanzi a lui, nell’ultimo tratto di Via Mezzocannone, in prossimità di Piazza San Domenico Maggiore, notò la sagoma inconfondibile di Stefan Cazacu: senza un vero motivo accelerò il passo e lo raggiunse. Tutto sommato quel professore di Bucarest gli aveva ispirata simpatia… E poi lo incuriosiva.
-Dopo quanto le ho sentito dire oggi – riprese l’avvocato – è inutile chiederle il motivo dei suoi studi su Vlad Tepes. Si tratta, mi pare evidente, di un personaggio storico; dal suo punto di vista un eroe, grazie al quale il principato di Valacchia, la sua terra, riuscì a mantenere l’indipendenza dall’Impero Ottomano. …Non è quindi per il mio stesso motivo che Dracula l’ha affascinata; insomma di Bram Stoker non glie ne importa granché. Dico bene? –
La risposta lo incuriosiva; una mezza “speranzella” che la discussione potesse prendere una piega un po’ più accattivante l’aveva ancora.
-Non è proprio così… - esclamò Cazacu, come liberandosi di un peso – Sicuramente mio zio Matei Cazacu e il suo amico Costantin Giurescu, che erano due storici rumeni, tra i più eminenti, inizialmente concentrarono i loro studi per ricercare i luoghi reali dove Vlad Tepes III aveva compiuto le sue imprese; ma poi, nell’affrontare pure l’aspetto del folclore che in qualche modo avvolgeva il personaggio, ebbero modo di imbattersi anche in cose… diciamo così “poco scientifiche”. Non va dimenticato che fino a qualche decennio fa si era ancora nella logica delle sovrastrutture della storia…
Oreste si sporse dalla sedia, avvicinandosi al bordo del tavolo.
-Suo zio?…
-Sì, mio zio Matei e Costantin Giurescu, entrambi ricercatori dell’Istituto Nicolai Iorga di Bucarest, quando verso la fine degli Anni Sessanta, insieme alla studioso George Florescu, si costituirono in èquipe per visitare le località dove il vero Dracula aveva compiuto le sue imprese, ebbero modo di appurare che tra i contadini rumeni delle regioni montuose della Valacchia e della Transilvania…
Oreste ingollò il suo bitter rosso con un sorso solo e per un attimo immaginò di essere Humphrey Bogart mentre, tutto di un fiato, buttava giù il suo doppio scotch…
-Era il 1969 – continuò ancora lo studioso – quando rintracciarono i resti di Castel Dracula e fu allora che si verificò un… accidente che, sebbene in principio mio zio Matei attribuì al caso, con gli anni lo portò a conclusioni inquietanti… - il professore si aggiustò il nodo della cravatta, senza che ce ne fosse bisogno.
-Che accadde? – chiese l’avvocato Marone, facendo contemporaneamente cadere tre o quattro arachidi dal cucchiaino al palmo della mano. Forse la speranza non sarebbe rimasta tradita.
-Tra quei ruderi, benché fosse ancora giorno, si aveva la sensazione che vi aleggiassero spettri; il posto era livido e solitario: adopero le spesse parole usate da mio zio, in uno dei pochi momenti in cui metteva da parte la sua logica positivista.
-Che diavolo è ‘sto vento? – esclamò una delle ragazze seduta al tavolino poco distante – e che freddo! Brr…
Oreste sollevò gli occhi, costatando che un nuvolone grigio – livido pensò – era andato ad oscurare il sole, che già da un po’ si avviava ad Occidente. Accese una sigaretta; il professor Cazacu non fumava.
-… Ebbene – riprese questi, dopo una brevissima interruzione durante la quale, anche lui, aveva alzato gli occhi verso il cielo – non ci crederà, ma mentre scendevano i gradini tra quelle rovine, d’un tratto il professor George Florescu mise un piede in fallo e precipitò in una profonda fenditura della roccia, fratturandosi il bacino! …
-Sicuramente… una coincidenza, ma… - commentò Oreste,
-Esattamente, come le ho detto, quello che pensarono mio zio e Costantin Giurescu – l’interruppe il professore – …fino a che non seppero, dallo stesso Florescu, che lui era un diretto discendente di un altro Florescu, che in vita era stato uno dei più acerrimi nemici di Vlad Dracula, il principe di Valacchia… Una vendetta attesa per secoli! – concluse con un sorriso che l’avvocato Marone interpretò come di circostanza.
-… Quando dalle nostre parti – riprese Stefan – arrivano turisti, in particolare alle porte di Sighisoara, la terra natale di Dracula, e vogliono sentir parlare di vampiri e denti aguzzi… domandano dei lupi e di tombe scoperchiate…la cosa, le confesso, infastidisce, perché vede, caro Oreste – gli fece piacere la confidenzialità dell’interlocutore -, per noi Vlad Tepes è un condottiero… un eroe, come da lei stesso intuito. Insomma è un Garibaldi più sanguinario, perché vissuto in un periodo più feroce. In un certo senso a quelle tradizioni popolari, quelle che poi ispirarono Stoker, siamo legati… e in quei luoghi, anche dopo tanti secoli, con la paura c’è un rapporto ambivalente, perché affascina pure… una sorta di odi et amo. … E devo dare atto a Stoker che questo aspetto l’ha reso egregiamente: ricorda la dedizione, pressoché totale, che gli zingari riservano al Conte quasi fino alla fine del romanzo? Perché sì, per certi versi ne siamo gelosi… Non so se mi spiego. E non credo che per lei – aveva continuato di botto, stoppando quanto l’avvocato Marone era stato sul punto di ribattere – sia un concetto facilmente comprensibile… Nella nostra terra l’idea di convivere col non morto… col Vampiro – abbassò la voce, che divenne poco più di un sussurro vibrato – è un’evenienza che inquieta e seduce allo stesso tempo…
-Ma no… - tentò di obiettare Oreste – anche per noi, proprio in questa città, l’ipotesi della “convivenza” col…
-Se pensa ad un’affinità col vostro “monaciello”, – per la prima volta il professor Cazacu tradì l’accento slavo – proprio non ci siamo… - scosse la testa.
-Mai mi sognerei un accostamento del genere… Napoli è un porto di mare, e gli immigrati che arrivano, oggi come ieri – l’avvocato fece una pausa studiata - … non sempre sono in carne e ossa!
Il professor Cazacu era rimasto a bocca aperta, al punto che Oreste poté contare le tre arachidi, adagiate quasi al centro della sua lingua.
-Chi le sta di fronte – continuò Marone – qualcosa sui vampiri può raccontarla. E la mia non è una testimonianza de relato, ma diretta… Maledettamente diretta.
Un’altra ventata gelata fece sollevare tre dei lembi della tovaglietta sul tavolino.
Il sole era quasi tramontato e i suoi ultimi raggi ramati, già lasciavano il posto alla luce gialla dei proiettori della piazza.
Le due coppiette di ragazzi fecero segno al cameriere di voler pagare per andar via.
-Testimone oculare intende dire? – riuscì finalmente a balbettare Stefan Cazacu.
- Testimone oculare… proprio così!
-Eh no, adesso sono io a voler sapere… Evidentemente qualche mio… conterraneo è coinvolto in questa storia; o no?!
-Questo, al limite, dovrà essere lei a dirlo; ogni cosa a suo tempo, però – esclamò l’avvocato Marone, con un sorriso sornione - … voglio partire dal principio.
Guarda un po’, pensò, ero andato ad ascoltare una conferenza sui vampiri e mi ritrovo a farla io, proprio a chi doveva essere l’esperto.
-Sono passati all’incirca cinquant’anni … – attaccò Oreste – Avevo poco più di sei anni e, insieme ai miei genitori, ero andato da amici di famiglia, che inauguravano la casa nuova, dove si erano trasferiti da pochi giorni...
Il professore, che nel frattempo era riuscito ad ingoiare le tre noccioline, aveva dato un altro assalto alle patatine.
-Avevano lasciata Portici, dove noi invece abitavamo ancora, avendo comprato un nuovo appartamento a Napoli in Via del Parco Margherita…
-Conosco quella via! – proruppe meravigliato il professore - … Proprio stamani ne ho percorso un tratto, sono alloggiato in un hotel a pochi passi da Piazza Amedeo, dovendo prendere la “funiculare” – anche questa volta tradì la sua inflessione slava - …La prego continui.
-Credo che per acquistare e sistemare quella casa – riprese Marone – avessero affrontata una spesa considerevole; ma se l’erano potuta permettere perché, ricordo, avevano vinto una forte somma ad una lotteria, o qualcosa del genere…
-Rammento che arrivammo quasi alle nove di sera; eravamo ospiti a cena. … Era un palazzo antico e signorile, stile liberty, bello ed elegante. Ce l’ho dinanzi agli occhi come se fosse ieri. Il portone d’ingresso era attiguo ad una chiesa lungo la via, non ne ricordo il nome ma sta ancora là… - Infilò il pacchetto di Merit nella tasca sinistra della giacca e ne tirò fuori un altro di Stuyvesant 100’s. Ne accese una e tirò una lunga boccata. Proseguì:
-Avverto ancora il senso di disagio, di gelo, che sentii appena fui entrato nell’appartamento, e credo che la medesima sensazione l’avessero avuta anche mio padre e mia madre… Sebbene la casa fosse molto bella e molto ben arredata (come le ho detto non avevano badato a spese), avrei dato non so che, pur di andare via subito… - un’altra lunga boccata di sigaretta.
-La cosa che oltretutto mi sorprendeva parecchio, era il fatto che Roki, il grosso pastore belga dei nostri amici, che ben conoscevo e col quale fino a qualche settimana prima avevo giocato liberamente e senza timori, appariva particolarmente ombroso e irritato, al punto che, sin dal principio della serata, mise in ansia finanche il padrone.
Il cambio di casa, aveva affermato il nostro ospite (il dottor Arturo Caruso), lo ha completamente frastornato, e quando cala la sera diventa particolarmente irascibile… non capisco proprio che gli è preso al nostro Roki, aveva concluso, picchiettando sul testone di quel canone nero… che contraccambiò con uno mugolio ringhioso piuttosto sinistro…
-Circa un quarto d’ora dopo essere giunti già eravamo a tavola; ed io capitai accanto a Sergio, il figlio della coppia di amici, che, essendo mio coetaneo, era stato fino ad allora mio compagno di giochi…
Oreste fece cadere sulla lingua le ultime gocce del bitter rosso, accompagnandole con un’altra tirata di sigaretta…
-I soffitti sono alti quasi sei metri, aveva detto il dottor Arturo, avendo visto mio padre ammirare i dipinti delle tele – continuò a narrare l’avvocato Marone cercando di ricordare le parole del loro ospite - …le case antiche sono un’altra cosa, c’è poco da fare… e poi questa è anche ben divisa, tant’è che l’architetto e l’arredatore da questo punto di vista non hanno avuto problemi particolari… Evidentemente il Conte, nel milleottocento e non so quanto, si trattava bene, gli ambienti spaziosi gli piacevano…
-Il Conte?! – il professor Stefan Cazacu era schizzato dalla sedia, interrompendo il racconto dell’avvocato – … il Conte chi?!
-Il precedente proprietario di quella casa di Via del Parco Margherita – fu la risposta immediata… ad effetto – I nostri amici non l’avevano conosciuto, ovviamente, in quanto l’avevano comperata dai suoi discendenti… discendenti di almeno tre o quattro generazioni…
-Ed era stato un vero affare, almeno così sembrava – seguitò Oreste – se tiene conto che si trattava di un’abitazione di circa trecento metri quadrati, con una terrazza e una lunga balconata... Sfitta e abbandonata da quasi un secolo. ... Da quando, cioè, il Conte era scomparso…
-Scomparso... morto intende? - chiese il professore, spingendosi in avanti e appoggiando gli avambracci, fino ai gomiti, sul ripiano del tavolino.
Le coppette di vetro tintinnarono…
-Il dottor Caruso di preciso questo non lo sapeva, anzi – soggiunse l’avvocato Marone – spiegò che si era trattato di una scomparsa vera e propria, nel senso che una bella mattina, in quella casa, il personale di servizio non lo aveva trovato, né nel suo letto e né da nessun’altra parte. E né da allora lo si vide più… Alla fine si era giunti alla conclusione che fosse partito.
E chi s’è visto s’è visto. … Ripeto, questo fu quello che il dottor Caruso, DOPO, riferì a mio padre.
-Dopo?!…
-Al tempo! – lo bloccò l’avvocato, “ripristinando” il suo sorriso simpaticamente sornione.
-Certo, certo… al tempo – ribatté il professor Cazacu, senza però sorridere neanche un poco.
-Rammento che stavo per addentare il secondo pezzetto di spezzatino che avevo nel piatto – riprese Oreste, schiacciando il mozzicone della Stuyvesant nel posacenere –, quando Roki, inaspettatamente, esplose in un abbaiare ringhioso e ululante, con la coda che oscillava da una parte all’altra, le orecchie drittissime e tutti i peli sul dorso drizzati come quelli di una spazzola. … Era irriconoscibile, e volgeva lo sguardo iniettato e paranoico ora verso di me e ora verso mia madre che era seduta alla mia sinistra. … E ad un certo punto diede l’impressione, a tutti, che stesse per lanciarsi verso uno di noi due…
-Stai a cuccia!, fu il comando secco del dottor Caruso, Adesso è troppo, cretino che non sei altro!, proprio così disse il nostro ospite. E afferrato il cane per il collarino, lo trascinò via dalla stanza… Adesso ti chiudo bestiaccia!, furono le sue parole, un attimo prima di sentire lo sbattere della porta di un’altra stanza, dove l’animale fu confinato… Ricordo pure le parole di disappunto di donna Giuliana, la moglie del dottore: mi dispiace che abbiamo dovuto chiuderlo proprio in QUELLA STANZA in fondo al corridoio centrale… ma è l’unica dove non può fare danni… non essendo arredata, ma è pure quella dinanzi alla quale, pur mantenendosi a debita distanza, sovente sta tenacemente ad abbaiare…
-I ringhi e gli ululati della povera bestia… – proseguì Oreste – insieme al raspare sul legno della porta durarono intensi per almeno cinque o sei minuti; poi finalmente incominciarono a diminuire. Dopo mezz’ora erano cessati.
… Il professor Cazacu e l’avvocato Marone trasalirono all’unisono a causa del lungo sbadiglio di un grosso randagio rossiccio, fino a poco prima arrotolato su se stesso a poca distanza dal tavolino: il verso era un misto tra il raglio e l’ululato.
Oreste riprese a narrare.
-È mezzanotte e quasi non me ne sono reso conto, disse mio padre al sesto o settimo rintocco della grossa pendola a muro che aveva di fronte, il tempo vola… Fugit interea, fugit irreparabile tempus, rincarò il dottor Caruso sollevando il bicchiere a calice… che un secondo dopo riappoggiò di colpo sulla tavola! … Ché un lungo urlo lamentoso echeggiò nella casa, in un crescendo raccapricciante, che non so perché mi diede l’impressione che racchiudesse anche qualcosa di… trionfale. Le luci si erano attenuate per alcuni attimi, come oscurate da un’ombra aleggiante nel salone; il pavimento aveva vibrato e un gelo reale avvolta ogni cosa!
-E mi creda se le dico – continuò l’avvocato Marone – che dalle labbra spalancate di ognuno dei presenti veniva fuori la classica nuvoletta di vapore, come se fossimo stati tutti imprigionati in un frigorifero…
-Tutto durò forse un paio di minuti, e poi ogni cosa ritornò alla normalità, tanto che veniva da domandarsi se quel fenomeno si era verificato realmente, o se si era trattato di un incubo collettivo…
-Le parrà strano – riprese ancora l’avvocato Marone dopo una lunga pausa, che poteva sembrare voluta – ma subito dopo quel misterioso accadimento nessuno dei presenti, compresi noi piccoli, ebbe il coraggio di esprimere alcun commento. Mia madre e mio padre, come in seguito ebbero a confessare, avevano controllata ogni loro reazione, per quanto avrebbe potuta essere comprensibile una meno “diplomatica”… In primo momento avrei voluto scappare, ammise qualche ora dopo mio padre, ma mi sono trattenuto. Avremmo fatto un torto ai poveri Arturo e Giuliana, se di punto in bianco avessimo abbandonata casa e cena…
-Non mi dica che riprendeste a mangiare come se non fosse accaduto niente – proruppe a quel punto il professor Cazacu…
-Non ci crederà, ma in principio sì. Sebbene in silenzio, continuammo a cenare per quasi un quanto d’ora, fino a quando la signora Giuliana, quasi alzandosi di scatto, espresse il desiderio di voler liberare Roki: non vorrei, aveva infatti detto la nostra amica, che a quella povera bestia sia capitato qualcosa… quella specie di ululo potrebbe essere stato il suo! … Vorrete scusarmi, ma io vado a sincerarmi delle condizioni di Roki...
-Non aspettò neppure che il marito replicasse, che già si era avviata, seguita da Sergio… Trascorse meno di mezzo minuto – continuò l’avvocato Marone – e un urlo raccapricciante della padrona di casa ci costrinse tutti a correre verso la camera in fondo al corridoio… Ebbene, ancora inorridisco, ma il povero Roki giaceva sul pavimento di quella stanza, accostato alla parete di sinistra, entrando dalla porta… Ed era completamente – scandì Oreste – INCARTAPECORITO! Sembrava un cane impagliato; solo gli occhi non si vedevano: erano stati risucchiati, erano implosi…
-Stupefacente! – balbettò il professore, restando con la bocca spalancata.
-… E non ho ancora detto la cosa peggiore – soggiunse l’avvocato facendo un’altra pausa, questa volta per niente studiata - … Le pareti della stanza erano turgide e palpitanti di sangue, che in alcuni punti gocciolava, formando pozze, sul pavimento di maiolica!
-… Porte aperte, luci accese, tavola imbandita… e tutti a correre giù per le scale, con la voce di mia madre che raccomandava… di non prendere l’ascensore! – concluse l’avvocato con un mezzo risolino – Peggio del terremoto dell’Ottanta. Ma che sensazione di leggerezza – continuò – quando ci ritrovammo tutti e sei in strada…
-E sempre tutti e sei rientrammo a Portici che erano quasi alle tre del mattino. A convincere i nostri amici a seguirci non fu cosa difficile. Fu meno facile, semmai, per il dottor Caruso e mio padre trovare il coraggio di risalire nell’appartamento per tirarsi dietro la porta.
…Con quell’avventura, però, si erano create le premesse perché, sia pure con tacito consenso, si concludesse l’affiatamento tra le due famiglie… La ragione è sottilmente intuibile, e quindi non semplice da spiegare. Nell’arco di un paio di mesi non ci si vide più.
-E la casa? – chiese il professor Cazacu.
-So che fu messa in vendita, e non ho mai saputo quando, e se, riuscirono a liberarsene.
Quando Oreste Marone e Stefan Cazacu lasciarono il tavolino del bar, la luce gialla dei riflettori la faceva ormai da padrona sull’intera Piazza San Domenico, così come il vento gelato dava l’impressione di non voler cessare.
-È stato un incontro molto interessante e diciamo pure piacevole – asserì il professore, mentre in prossimità di palazzo San Severo aspettava il taxi, chiamato col cellulare. - Le confesso che ho una mezza idea di invitarla a Bucarest, all’Istituto Iorga… ne parlerò col direttore…
Oreste sorrise pensando alla risposta da dare…
-A proposito, ma non m’ha detto se il Conte… era un mio compatriota; ne ricorda almeno il nome?
-Ah, sì… Vlad… Vladimiro! Cazzo… Vladimiro Carpasio o Carpaccio … - era incredulo!
-Bella e strana coincidenza… - disse Stefan Cazacu mentre, in tutta fretta, montava nell’auto che l’attendeva con le quattro frecce accese – beh, ci sentiamo… ho il suo numero…
Le telefonerò – Finalmente le altre autovetture che si erano fermate dietro al taxi cessarono di
strombazzare.
-E quando?… – fu il pensiero di Oreste mentre avvicinava il telefonino all’orecchio, che stava squillando da un po’,
-Orè, finalmente! – era la voce di Alfredo Bevilacqua – Avevo voglia di aspettarti qua allo studio…
-Poi ti dirò, ho tenuto da fare… – tentò di giustificarsi Oreste, sbirciando l’orologio che segnava le 20,25,
-Sì, sì, va bbè – riprese l’amico – domani… Mo’ ti volevo dire che chiudo e me ne vado, ché sto acciso ‘e fatica, e il tuo fascicolo per domani mattina in Tribunale me lo porto io… visto che oggi te la sei “chiamata di festa”… ma te lo faccio uscire per gli occhi… - ridacchiava, però…
-A proposito – proseguì – …‘na decina di minuti fa ha telefonato un cliente nuovo, e cercava proprio di te. Alla fine ha detto che avrebbe richiamato domani, o lunedì.
-E che voleva? – domandò Oreste, più per dare l’impressione di essere rammaricato per l’assenza allo studio, che per curiosità.
-Non m’ha detto granché, ha detto soltanto che si tratta di una questione che riguarda un appartamento sfitto al Parco Margherita e di cui tu sai già… Dalla voce m’è parsa una persona molto seria, aveva l’accento straniero…
-Come cazzo si chiama? Alfré – trasalì l’avvocato Marone - … t’ha detto il nome?
-E certo! Uno che si chiama Vladimiro, mica telefona tutti i giorni!? Il cognome, invece, mi pare Carpazio, o Carpasio, o Carpaccio, o Carpano… come l’aperitivo – ridacchiò ancora…
-Alfrè – proruppe Oreste, asciugandosi la fronte sudata – quando questo madonna chiama un’altra volta… digli che sono morto; morto Alfré!… Anzi no! Per lui, se sono morto,
è meglio, perché mi trova prima…
-Orè, ma si asciuto pazz’e cervella?!…
-… Meglio se gli dici – insisté Oreste ignorando l’interruzione di Alfredo – che mi sono fatto monaco… DI CLAUSURA!
…Spense il cellulare.

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