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Un bolognese a Surriento



E' noto a tutti, e più volte è stato ricordato con grande enfasi nei giorni successivi alla sua scomparsa, che Lucio Dalla amasse molto Napoli, la canzone napoletana e la "napoletanità" in genere.
Emanuela Catalano
, ci ricorda in questo dolce e quasi struggente articolo, uno dei capolavori di Dalla più conosciuti e cantati in tutto il mondo: Caruso.


Abbiamo in noi l’immagine  di Pavatotti che, dopo la prima strofa, intonata dall’autore, canta con quella voce così potente e melodiosa che pareva sgorgargli dalla gola senza sforzo apparente:
Te voglio bene, te voglio tanto bene…assaie.

E questo sentimento oggi, in questo momento doloroso è condiviso da tutti gli italiani.
Riconoscenti ringraziamo  Lucio Dalla  che, partito per la “seconda” parte della sua esistenza  ha lasciato a noi tante canzoni così belle e diverse che ciascuno può trovare tra di esse quella del suo cuore.

Di questo patrimonio artistico culturale rappresentato da 600 canzoni che sono passate dalla mente, dalle mani e dalla voce di questo autore, vogliamo ricordarne una in particolare: “Caruso”.

Dalla era un poeta e le sue opere dovevano per forza muovere da un’idea e da un pensiero che finiva per creare questo particolare stato d’animo. Già altre volte la sua mente aveva costruito su di un’emozione legata agli avvenimenti che avevano fatto di un uomo un ricordo collettivo di eccellenza, che include rispetto, ammirazione e affetto: la canzone su Baggio e quella su Nuvolari afferiscono a questo filone creativo del cantautore bolognese.

Sull’onda di questi interessi di tipo storico  contenutistico non è difficile capire che il suo vivere  nel mondo della musica e dei cantanti lo facesse andare col pensiero e la riflessione alla ricerca di protagonisti della voce che avevano lasciato un segno tanto forte da essere giunto, leggendario, sino al nostro tempo.

A queste attitudini della mente si aggiungono, possiamo dire, scelte logistiche ineluttabili .
Lui così bolognese nel carattere e nell’appartenenza ad una città da lui cantata fin dagli anni settanta quale grembo materno: “4 Marzo 1943” e “Piazza Grande”, aveva un’attrazione ed un amore innato e indomabile per il mare. Quante sue canzoni del mare parlano ed anche degli uomini che col mare vivono, i marinai; ne citeremo una per tutte: “Quant’è profondo il mare”.

Quindi un uomo di terraferma, bolognese, si spinge verso il mare, e quale luogo migliore di Sorrento, per cercare una voce, la voce per antonomasia del Canto italiano: Enrico Caruso.

L’aria umida e sapida delle località marittime scaldata da quel sole che è Mio per tutti gli italiani, il luccichio dell’acqua sotto il riverbero di quel Sole, l’effetto ottico, la fata Morgana, fanno apparire all’orizzonte immagini di inesistenti album.
A questi elementi naturalistici, geografici e fisici si aggiungono le storie narrate dai paesani, in una lingua napoletana dolce comm 'o zucchero ed evocatrice di magiche atmosfere.
Un amico lo porta a visitare quelle stanze dove Caruso visse gli ultimi giorni terreni confortato da un ultimo sognato e mitizzato amore con cui il cantante cercava di contrastare l’abbraccio della morte.
Ecco lieve nascere una canzone, centellinata dall’emozione, veicolata da una lingua di cui reca traccia; Dalla stesso ha dichiarato che dopo l’emozione sono bastati quindici minuti, una manciata di tempo, per creare questa canzone che sentiamo nostra, personale, fin dalle prime note.
Ora lassù si è formato un trio, di voci differenti eppur bellissime che accogleranno noi tutti con un angelico canto d’amore; Te voglio bbene, ma proprio tantu bbene.

Anche noi vogliamo salutare così, con queste parole, Lucio Dalla, giunto alla casa del Padre, ci ha lasciato colmi, nel suo ricordo, di Amore, il sentimento che può e deve unire tutti gli uomini, in ogni tempo e in ogni luogo essi trascorrano la loro esistenza terrena.

Firenze, 4 Marzo 2012    

                                                    Emanuela Catalano    

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