Ci arrivate facilmente da piazza del Gesù, lasciandovi dietro l’obelisco, faccia verso il ventre della città antica. Un pezzo di decumano inferiore, ma solo un pezzo, un paio di centinaia di metri. Camminerete per una via stretta che trasuda lacrime e risate, pezzi di Compagnone, Rea e De Filippo proveranno a distrarvi insieme a Santa Chiara e San Domenico Maggiore, ma voi continuate.
Piazzetta Nilo, detta “il Corpo di Napoli”, il nucleo greco con la mitica fonte del fiume sotterraneo Sebeto, sarà l’ultimo tentativo di fermarvi. Ancora quattro passi e ve la ritrovate sulla destra.
Magari ci sarà un po’ di gente, turisti che scattano foto ridacchiando e sfottendo nella propria lingua l’ingenuità di un popolo straccione e cialtrone, reso simpatico dalla propria manifesta inferiorità culturale.
A prima vista è uguale alle migliaia di edicole votive che punteggiano le mura dei quartieri antichi: un finto tempietto con due colonne ai lati e un transetto spiovente, l’immagine del Santo celebrato, qualche icona che ne ricorda i miracoli, addirittura una reliquia. Ma la religione romana e il martirio stavolta non c’entrano; stavolta c’entrano il Sudamerica, la vittoria e l’effimero. Sempre di fede si tratta, comunque.
Il volto santo è quello di Diego Armando Maradona, il più grande calciatore di tutti i tempi; la reliquia è un suo capello; i miracoli sono i due scudetti e la coppa Uefa.
Dover raccontare la città attraverso una sola immagine e scegliere questa è sicuramente un azzardo. Più semplice sarebbe stato andarsi a cercare uno scorcio di ordinario degrado, spazzatura, camorra, spaccio, pizzo; o anche antichi profumi, mare, sole, cozze e mandolino. Però si deve ammettere che il testacoda tra Fede ed effimero, l’accostamento cardiovascolare tra l’inutilità di un pallone e la necessità di una gioia è un modo affascinante di raccontare l’anima nuova di Napoli.
A pochi metri dal Cristo velato e da tutte le antiche sacralità, qualcuno ha deciso di dedicare un minuscolo luogo di culto a chi di recente ha erogato la maggiore gioia alla città. Si narra di un fortunato tifoso, passeggero casuale collocato dal destino e dall’Alitalia proprio dietro all’Augusto Pibe; si racconta di un gesto furtivo, col quale il suddetto tifoso abbia intascato il pannetto copripoggiatesta sul quale il Suddetto aveva dormito poco e male durante il viaggio; che dal pannetto sia stato asportato un capello riccio, lungo e nero. E’ appunto attorno a quel capello, scosso gioiosamente al vento in occasione di tanti gol, sommerso da docce di champagne dopo tante vittorie, che è sorta l’edicola.
Ad amministrarne con cura, pulizia e ordine è il barista retrostante, che in cambio raccoglie l’opportunità della consumazione dei turisti fotografi contraccambiando peraltro la cortesia con uno dei migliori caffè del mondo. Sorseggiandolo, vi prego di riflettere prima di dare frettolosi giudizi sulla supposta stupidità di un popolo che, sommerso da tante disgrazie e atrocità, si butta con tanta passione su qualcosa di vano e fuggevole. Pensate a quanto sia necessario un sorriso, una gioia per chi fronteggia la quotidiana sofferenza. Pensate a cosa abbia rappresentato ritrovarsi, una volta tanto, sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo per qualcosa che non fosse l’ennesima sconfitta sociale, ma una grande vittoria. Pensate a sei milioni di napoletani nel mondo della prima, seconda o terza generazione che piangono di gioia in silenzio, sognando una città che forse non hanno mai visto ma alla quale sentono di appartenere ancora. E a quanta saggezza ci sia nel voler tenere stretto il sacro pensiero di tutto questo.
E quando il barista, sorridendo con aria furba, vi dirà: “dotto’, ci pensate? La scienza va avanti. Magari un domani, con quel capello, Lo potranno pure clonare; così vinciamo un altro paio di scudetti!”, vi prego: valutate la possibilità di sorridere anche voi.