Vi proponiamo un interessante articolo di Renato De Falco, per gentile concessione della rivista l'Alfiere, dedicato agli effetti sulla toponomastica cittadina delle tante dominazioni vissute dalla nostra città.
Napoli greca, Napoli romana, Napoli
Sveva, Angioina, Aragonese, Ispano-Viceregnale,
Borbonica, Muratiana, post-unitaria:
sono solo riferimenti - ma del tutto parziali
- ad epoche del nostro travagliato vissuto
civico, qui a soli fini toponomastici,
per rilevare indicazioni di luoghi e strade che
ne tramandano il ricordo.
Napoli ellenica
A partire dal grecissimo appellativo della
nostra Città, mutatosi dal verginale Partenope
in quello di Neapolis, per poi richiamare
l'appellativo della originaria, vera e
propria sua culla - il Monte Echia - derivato
dal tempio-faro ubicato su quel promontorio
e dedicato alla Euplea, nume della
"buona navigazione", nonché la suggestiva
altura di Posillipo (pausis lupon - cessazione
degli affanni), il Chiatamone (da platamon,
greto, spiaggia, ma più specificamente
grotta cavata dal mare), l'isolotto di
Megarìde, su cui venne in seguito edificato
il Castel dell'Ovo, l'amena collina del
Vomero (presumibilmente da bomos, altura
sacra), i Colli Amineì, così chiamati dalle
viti aminee che vi insistevano, le Mura greche
e non tacendo di Nisida (niseidos, piccola
isola), di Ercolano (da Eracles), di
Torre del Greco (ferace terra produttiva di
quel vino ellenico - poi corrottosi in aglìànico,
ivi per primo trapiantato).
Napoli romana
Quanto alla latinità , le sue tracce sono
immediatamente ravvisabili in tre emblematiche
località napoletane: quella di Margellìna
(da mare jalinum, cioè trasparente).
di Marechiaro (da mare planum, ossia tranquillo:
la limpidezza non c'entra affatto) e
di Chiaia, la rivierasca plaga, spiaggia. E
c'è posto per Forcella (da furcilla, evocante
l'andatura a tronco biforcuto di tale strada),
per il Cavone (via "cavata" dall'acqua piovana
discesavi per millenni dalla soprastante
collina), per la Gaiola (da caveola, grotticella,
ovvero cavità scavate dal frangervi
delle onde marine), per il Pendino (dal pendere
della strada che. dall'alto porta al piano),
per la Pedamentina di San Martino
(erta ascesa incassata fra pareti tufacee iniziante ad pedem montis) e per la località di
Antignano (da praedium Antonianum o da una gens Antiniana ivi attestatasi,
se non da Antonino Pio che volle il prosieguo della Domiziana fino a quei paraggi).
Napoli sveva e angioina
L'unica memoria sveva si radica nell'angusta Via Corradino di Svevia, mentre le
reminiscenze angioine -a parte l'imponente
Maschio - si evidenziano nelle tabelle stradali
di Piazza Francese, del Ponte dei Francesi,
di Via Renovella (da rue nouvelle),
nelle non più esistenti Via Rubattina (o
Robertina, spetta al tempo di Roberto d'Angiò)
e via Provenzale, ed ancora nella un
tempo malfamata Acquaquiglia, zona adiacente
al Porto, derivante lo storpiato appellativo
dalla Fontana della Quaquiglia (da
coquille, lumaca) di recente restaurata. Un
cenno a parte merita la Cupa Lautrec ('O Trìrece, 'O trivio o Lo Trecco), in ricordo
di Odetto de Foix, Visconte di Lautrec,
che nel 1528 cinse Napoli di un inutile
assedio e le cui spoglie riposano nella Chiesa di S. Maria La Nova.
Napoli spagnola
Il prolungato dominio spagnolo, sommante
ad oltre 250 anni tra quello Aragonese
e quello Viceregnale, ha fortemente inciso
sulla toponomastica cittadina, anche se
molte strade ad esso correlate sono state
cancellate dal tempo o dagli eventi. Resistono
ancora le decentrate Vie Alfonso e
Ferrante d'Aragona per il primo, mentre per
il secondo - a parte i c.d. "Quartieri (meglio
acquartieramenti) Spagnoli" è d'obbligo la
citazione di quella Via Toledo (mai accetta
quale Via Roma), che nel 1536 il Viceré
Don Pedro di tale casato volle ''scavata nel
sole" e che Sthendal ebbe caro definire "la
più popolosa e gaia del mondo". Al Viceré
Antonio Alvarez Duca d'Alba si lega il
nome della seicentesca Port'Alba, olim detta
Sciuscella per gli alberi di carrube che la
circondavano, non ignorando il Pìliero (dalla
Madonna del Pilàr), il Ponte di Tappia, la
Rua Catalana, le Vie Nardones, Miradois,
Conte Olivares, Taverna Penta. l'intero
Quartiere della Vicaria, il Supportico
Lopez, la Piazza (e la Chiesa) di San Ferdinando,
il Palazzo San Giacomo e la adiacente
Basilica, nonché Santa Teresella, la
Trinità e la Maddalenella, tutto ovviamente
"degli Spagnoli".
Napoli borbonica - muratiana
Il solo riferimento alla Dinastìa Borbonica,
poiché è scontato che una riprovevole
storia scritta dai vincitori tende a cancellare ogni memoria degli
sconfitti, è quello della Piazza Carlo III (di
Spagna e non di Napoli), essendo stati soppressi
tutti gli altri ad esso relativi, limitandone
l'esemplificazione al solo coerente e
congeniale "Largo di Palazzo" modificato
nella asettica "Piazza del Plebiscito"
ed al Corso Maria Teresa, intitolato
poi al Re Vittorio Emanuele.
Della parentesi Muratiana, soltanto l'evanescente
ricordo del Largo Carolina: e null'altro...
Napoli post-unitaria
Scontatamene numerose le targhe viarie dedicate ai Savoia e loro congiunti: dal già citato Corso Vittorio Emanuele alla Via Vittorio Emanuele III, al Corso Umberto, al Parco Margherita, alla Piazza Principe Umberto, all'ex Viale Elena (ora ingenerosamente Gramsci), al Corso Amedeo di Savoia (è questo il Duca d'Aosta, eroe di Neghellì, cui è anche dedicata l'omonima Piazzetta dell'Augusteo), alla Piazza Amedeo (per l'esattezza Amedeo Ferdinando Maria di Savoia, per qualche anno Re di Spagna) ed alla Via Duca degli Abruzzi, per fermarci qui .