RIFLESSIONI.
La ricerca storica non conduce, come in campo giornalistico, a scoperte più o meno sensazionali. Induce, piuttosto, ad interpretare gli avvenimenti, a porne in rilievo aspetti in precedenza trascurati, per pregiudizio o per superficialità .
A questo punto va fatta una prima riflessione. Se nel 1861, cadute anche le fortezze di Messina e di Civitella del Tronto, Francesco II non aveva più il controllo politico e militare del Suo Regno, perchè si è tanto insistito in quest’opera di denigrazione e di scherno nei suoi confronti ?
1. Perchè Francesco II continuava ad essere Re e tale sarebbe rimasto fino alla morte .
Dal momento della sua incoronazione un Re prende ufficialmente possesso delle sue funzioni e, salva l’eventualità dell’abdicazione, mantiene tale possesso a vita .
Ora, se si considera che la cosiddetta unificazione della penisola era avvenuta a mano armata, in difetto di una reale condivisione da parte delle nazioni interessate, anzi a dispetto in particolare della nazione napolitana, come attesta la diffusa ed ultradecennale insurrezione armata contro i piemontesi, la conservazione del titolo regale da parte di Francesco II rappresentava un insidioso pericolo per l’usurpatore sabaudo e per gli interessi delle potenze che lo avevano sostenuto, Inghilterra in testa . Non dimentichiamo, infatti, che quest’ultima aveva fortemente voluto la fine del nostro Antico Regno per poter assumere il controllo indisturbato del Mediterraneo, specie in vista dell’apertura del Canale di Suez, che sarebbe stata realizzata di lì a qualche anno, nel 1869 .
Nella protesta contro l’invasione del Regno, indirizzata alle Corti europee il 6 settembre 1860, Francesco II afferma espressamente : "Riserbiamo tutti i nostri titoli e ragioni, sorgenti da’ sacri incontrastabili dritti di successione e da’ trattati; e dichiariamo solennemente tutti i mentovati avvenuti fatti nulli ed irriti e di niun valore…"
Francesco II, dunque, non avendo mai rinunziato al titolo regale, è stato Re per tutta la Sua vita; non soltanto per poco più di un anno e mezzo, come ancor oggi si sostiene, bensì dall’incoronazione avvenuta nel 1859 fino alla morte, verificatasi nel 1894. Basti pensare che, se gli eventi avessero consentito un suo ritorno a Napoli, non vi sarebbe stata necessità di procedere ad una Sua nuova incoronazione, così come non vi si procedette per S.M. Ferdinando IV allorchè questi fece ritorno a Napoli, sia nel 1799 che dopo il decennio francese .
Coerentemente, in una lettera indirizzata da Arco il 18 novembre 1887, avente il contenuto di un vero e proprio testamento dinastico, S.M. Francesco II si rivolge al "carissimo fratello Alfonso", dicendogli : "… Re in dritto tu sei dal momento della mia morte : ma non ne ai lo esercizio ." ed aggiungendo : "Se tu crederai ritenere pel momento il tuo presente titolo (Conte di Caserta, n.d.r.), fa che il tuo primogenito prendesse subito quello che gli appartiene di Duca di Calabria e quando questi à un figlio quello di Duca di Noto dal nascere." .
Francesco ha dunque trasmesso il titolo regale al fratello Alfonso (1841-1934) e, dopo di questi, in perfetta continuità dinastica, ai suoi discendenti, ultimo dei quali il principe Carlo, attuale Capo della Real Casa Borbone Due Sicilie ed attuale pretendente al trono che fu dei suoi avi. E ciascun erede al trono ha, in corso di tempo, assunto il titolo di Duca di Calabria, in ossequio alla prescrizione di Francesco II .
2. Questi, inoltre, non si è limitato ad essere Re dal punto di vista nominale, ma ha continuato a svolgere il Suo ruolo di Re, beninteso se ed in quanto le circostanze glielo abbiano consentito.
Una volta lasciata Gaeta, Francesco II si trasferì a Roma con la Regina Maria Sofia, in un primo tempo al Quirinale, ospite di S.S. Pio IX, quindi a Palazzo Farnese, bene pervenuto ai Borbone Due Sicilie dall’eredità dell’ava Elisabetta Farnese, Regina di Spagna . A Roma Francesco II mantenne un Suo Governo in esilio . A Roma lo seguirono anche i Ministri stranieri accreditati prima a Napoli e poi a Gaeta . E da Roma Egli continuò ad occuparsi degli avvenimenti che travagliavano il Suo Regno. Non a caso, proprio durante questo soggiorno gli venne offerta la restituzione dei Suoi beni privati, illegittimamente confiscati da Garibaldi per conto dei piemontesi, a condizione però che egli lasciasse Roma. La Sua sola presenza in prossimità dei confini del Regno era infatti ritenuta pericolosa per il nuovo ordine sabaudo, in quanto suscettibile di sostenere, anche solo moralmente, quanti combattevano per l’indipendenza della Patria Napolitana e per la Sua restaurazione sul trono.
Portavoce di tale profferta fu il marchese de La Valette, ambasciatore di Napoleone III a Roma, al quale Francesco oppose un dignitoso quanto fermo rifiuto, ricordandogli di non essere solamente Re delle Due Sicilie, ma anche Duca di Castro, come tale proprietario negli Stati Pontifici. Sottolineò, inoltre, come venissero impudentemente chiamati briganti quanti difendevano la loro terra e la legittima dinastia, affermando "Se così è, io mi reputo onorato di essere un brigante. … io non rinnego, né rinnegherò mai coloro che combattono in mio nome…" ed aggiungendo "…io non voglio…dar motivo a credere, anche apparentemente che per un solo istante io abbia rinunziato ai miei dritti". Quanto ai beni personali confiscatigli, il Re concluse : "…io non soffrirò…che mi si pongano condizioni o mediazioni o che se ne discuta punto. …Sarò povero come tanti altri che sono migliori di me; ed ai miei occhi, il decoro ha pregio assai maggiore della ricchezza." .
Il fatto che Francesco II fosse assolutamente alieno da compromessi forniva nuova linfa al livore dei suoi detrattori, abituati a trattare con uomini sensibili alle lusinghe del danaro, non certo con un Principe integerrimo ed incorruttibile quale era il Re delle Due Sicilie . Nella fattispecie, poi, ritenendo Francesco suo diritto ottenere la restituzione dei beni personali, restava escluso "a priori" che questa potesse rappresentare l’oggetto di una pretesa concessione in suo favore. Egli ritorna su questo punto nella citata lettera al fratello Alfonso del 1887, nella quale tra l’altro scrive : "Una protesta ad un tempo sembrami necessaria. Sullo spoglio della nostra fortuna privata e come la nostra famiglia è la sola al bando del dritto pubblico e privato in Europa.". Ed è quanto meno curioso notare come in due trascrizioni di detta lettera, nelle quali mi sono imbattuto, l’espressione "protesta", chiaramente leggibile nel testo originale, sia stata mutata – non so quanto in buona fede – nella ben diversa espressione di "proposta"
Nel 1862 Francesco II, avvalendosi del Suo Corpo Diplomatico, rimastogli in massima parte fedele, condusse un’intensa attività, protestando – tramite i Suoi rappresentanti a Pietroburgo ed a Berlino – contro gli annunciati riconoscimenti del Re di Sardegna quale re d’Italia, e dichiarando nulle – a mezzo circolari indirizzate ai Suoi agenti diplomatici presso le corti straniere – le leggi relative alla vendita dei beni della Chiesa, del Demanio e della Casa Reale.
L’8 dicembre di quello stesso anno un’eruzione del Vesuvio distruggeva Torre del Greco. Francesco, inviando all’Arcivescovo di Napoli, Cardinale Riario Sforza, la somma di 800 scudi per soccorrere le popolazioni colpite dalla calamità, scriveva : "Tutte le lagrime dei sudditi miei ricadono sopra il mio cuore,…comunque grande sia la mia catastrofe e meschine le mie risorse, io sono re, e come tale, io debbo l’ultima goccia del sangue mio e l’ultimo scudo che mi resta ai popoli miei." .
Nel 1870, dopo la morte dell’unica figlia, la Principessa Maria Cristina Pia, Francesco II abbandonò Roma, dando inizio al periodo errante della Sua vita di Re in esilio.
3. Non si comprende a pieno la figura di Francesco II se non ci si cala nella visione cristiana che ha informato l’intera Sua esistenza .
Una visione che affondava le sue radici non solo nell’educazione ricevuta nel periodo infantile ed adolescenziale, ma soprattutto in quella fede profonda che ha sempre caratterizzato Francesco e che gli ha consentito di affrontare ogni avversità con la serenità di chi assiste al compiersi della volontà di Dio, nella consapevolezza che spesso questa supera ogni umana comprensione .
Francesco II ha abbracciato fin dall’inizio del Suo Regno la concezione cristiana della regalità, intesa quale servizio, quale responsabilità, quale decisione .
E’ proprio per questo spirito di servizio che Egli, avendo vissuto da bambino le tensioni provocate dai disordini del 1848, avverte la responsabilità di risparmiare alla Sua Capitale ed ai suoi abitanti gli orrori di una guerra civile, di preservare dalla distruzione i tanti monumenti e testimonianze artistiche formanti un patrimonio che "…appartenendo alle generazioni future, è superiore alle passioni di un tempo.", come testualmente recita il proclama indirizzato ai napolitani il 6 settembre 1860 .
E’ proprio per questo spirito di servizio che, pur potendo subito sottrarre se stesso e la Regina Maria Sofia ad ogni sorta di disagio e di pericolo, decide di difendere – e per cinque lunghi mesi difende – a Gaeta l’indipendenza del Regno e l’onore della dinastia che rappresenta, stupendo l’Europa ed il mondo intero, che guardano increduli, sorpresi, a questa giovane coppia regale che sugli spalti della fortezza condivide,
4. Un’ultima considerazione va fatta . Francesco II ha pagato questo suo essere rimasto Re fino all’ultimo istante della Sua esistenza terrena con un prolungamento dell’esilio anche "post mortem", a tanto condannato dall’Italia sabauda prima, dall’Italia repubblicana poi. E con lui la Regina Maria Sofia e l’unica Loro Figlia, la Principessa Maria Cristina Pia .
Sono occorsi circa novant’anni perchè le loro salme potessero essere finalmente ricomposte nella Cappella di S.Tommaso Apostolo, sita nella Chiesa di Santa Chiara in Napoli, ove riposano, con essi, tutti i reali della Casa Borbone Due Sicilie .
Ciò è avvenuto nell’aprile del 1984. Un mese dopo, il 18 maggio 1984, si celebrò in Santa Chiara in memoria delle Loro Maestà Francesco II e Maria Sofia un’affollata funzione religiosa, alla quale ebbi il privilegio di assistere, presieduta da S.Em.za il Cardinale Ursi, Arcivescovo Metropolita di Napoli. Questi concluse la sua omelia con parole perfettamente coerenti con la vicenda storica della quale Francesco II e Maria Sofia erano stati protagonisti 123 anni addietro : "Stasera più che i suffragi cantiamo l’alleluja per i nostri fratelli Francesco e Sofia… oggi questi due giovani riprendono il loro trono nell’amore degli autentici napoletani." .
Dobbiamo essere grati a questo Re, che ha amato profondamente il Suo Popolo, fieri dell’esempio di assoluta dignità e di grande forza d’animo, che Egli ci ha tramandato .
Ma non dimentichiamo che Francesco II ci ha lasciato, da vero cristiano, anche un testimone di speranza, contenuto nel proclama che Egli indirizzò alla Nazione da Gaeta l’8 dicembre 1860, ricorrenza della Vergine Immacolata, protettrice delle Due Sicilie : "…Traditi egualmente ed egualmente spogliati noi ci risolleveremo dalle nostre disgrazie. Il tempo delle nequizie non ha durato mai lungamente, nè sono eterne le usurpazioni….".
E così sia .
Massimo Cimmino