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Francesco II di Borbone



Vi proponiamo un articolo di Massimo Cimmino dedicato a Francesco II di Borbone. Si tratta di un'accorata difesa, basata su precisi riferimenti storici, della figura del Re Francesco II; purtroppo, chi ha il potere di scrivere la Storia ha dolosamente umiliato la figura di questo re, ricorrendo a mezzucci vari e, tra questi, il ricorso al termine dispregiativo Francischiello.


PREMESSA. La ricerca storica ha lo scopo di approfondire la conoscenza degli umani accadimenti e dei loro protagonisti, consentendo di inquadrarli in una cornice quanto più possibile aderente alla realtà dei fatti . Man mano che ci si inoltra in essa, si comprende tuttavia quanto le versioni storiche cosiddette ufficiali, o comunque più accreditate, costituiscano il frutto di manipolazioni interessate, di dolosi travisamenti, di calunniose interpretazioni .
In alcuni casi, addirittura, quelli che Gramsci definisce "scrittori salariati" hanno alimentato lo sviluppo di veri e propri "miti negativi", allo scopo di demonizzare o di sminuire personaggi il cui carisma avrebbe potuto viceversa influenzare uomini e determinare eventi in senso diverso da quello voluto dai potenti di turno .
E’ su uno di questi personaggi, in particolare, che voglio oggi richiamare la vostra attenzione.
Funerali di Francesco II ad ArcoFunerali di Francesco II ad Arco
Il 27 dicembre 1894 decedeva in Arco, in provincia di Trento, all’età di 58 anni, un gentiluomo riservato, una persona comune, che gli abitanti di quella cittadina erano soliti incontrare per istrada mentre passeggiava, vedevano fare colazione al bar, dedicandosi alla lettura dei giornali, e partecipare quotidianamente alle funzioni religiose. Un gentiluomo a tutti semplicemente noto come il signor Fabiani .
Solo dopo la sua morte appresero trattarsi di S.M. Francesco II di Borbone, Re delle Due Sicilie .
L’Imperatore d’Austria organizzò funerali solenni, ai quali intervennero rappresentanti di quasi tutti gli altri sovrani. Le Corti europee presero il lutto, eccezion fatta per quella sabauda .
Su "Il Mattino" del 29 dicembre 1894 Matilde Serao scriveva : "Giammai principe sopportò le avversità della fortuna con la fermezza silenziosa e la dignità di Francesco II. …Galantuomo come uomo e gentiluomo come principe ecco il ritratto di Don Francesco di Borbone." .
Un Sovrano, peraltro, al quale la propaganda avversaria ha riservato, più che ad altri, un trattamento denigratorio, tentando in tutti i modi di confinarlo storicamente in un limitato contesto temporale, quello che va dalla Sua ascesa al trono nel 1859 alla resa della fortezza di Gaeta nel 1861, onde ancorarne indelebilmente la figura alla sconfitta militare, alla scomparsa del Suo Regno dalla scena politica, al declino delle fortune dei Borbone Due Sicilie .
Nasce così l’operazione "Franceschiello". E questo nomignolo, volutamente irriverente, ha fatto breccia nella coscienza collettiva, forse più di ogni critico giudizio politico e storico, veicolando subdolamente fino ai giorni nostri l’immagine di un sovrano troppo giovane, inesperto nell’arte del governo, poco o per nulla preparato alla prova bellica, in altre parole l’immagine di un "perdente". E pochi – si sa - sono disponibili ad abbracciare le cause perse, giacchè la storia è scritta dai vincitori .
Su "La Stampa" del 9 luglio 2000 Paolo Mieli osservava : "La ridicolizzazione attraverso cui la storiografia post-risorgimentale ha consegnato ai posteri un'immagine storpiata di quel sovrano, è nient'altro che un'ennesima manifestazione di infierimento su un vinto."  .

RIFLESSIONI.
La ricerca storica non conduce, come in campo giornalistico, a scoperte più o meno sensazionali. Induce, piuttosto, ad interpretare gli avvenimenti, a porne in rilievo aspetti in precedenza trascurati, per pregiudizio o per superficialità .
A questo punto va fatta una prima riflessione. Se nel 1861, cadute anche le fortezze di Messina e di Civitella del Tronto, Francesco II non aveva più il controllo politico e militare del Suo Regno, perchè si è tanto insistito in quest’opera di denigrazione e di scherno nei suoi confronti ?
1. Perchè Francesco II continuava ad essere Re e tale sarebbe rimasto fino alla morte .
Dal momento della sua incoronazione un Re prende ufficialmente possesso delle sue funzioni e, salva l’eventualità dell’abdicazione, mantiene tale possesso a vita .
Ora, se si considera che la cosiddetta unificazione della penisola era avvenuta a mano armata, in difetto di una reale condivisione da parte delle nazioni interessate, anzi a dispetto in particolare della nazione napolitana, come attesta la diffusa ed ultradecennale insurrezione armata contro i piemontesi, la conservazione del titolo regale da parte di Francesco II rappresentava un insidioso pericolo per l’usurpatore sabaudo e per gli interessi delle potenze che lo avevano sostenuto, Inghilterra in testa . Non dimentichiamo, infatti, che quest’ultima aveva fortemente voluto la fine del nostro Antico Regno per poter assumere il controllo indisturbato del Mediterraneo, specie in vista dell’apertura del Canale di Suez, che sarebbe stata realizzata di lì a qualche anno, nel 1869 .
Nella protesta contro l’invasione del Regno, indirizzata alle Corti europee il 6 settembre 1860, Francesco II afferma espressamente : "Riserbiamo tutti i nostri titoli e ragioni, sorgenti da’ sacri incontrastabili dritti di successione e da’ trattati; e dichiariamo solennemente tutti i mentovati avvenuti fatti nulli ed irriti e di niun valore…"
Francesco II, dunque, non avendo mai rinunziato al titolo regale, è stato Re per tutta la Sua vita; non soltanto per poco più di un anno e mezzo, come ancor oggi si sostiene, bensì dall’incoronazione avvenuta nel 1859 fino alla morte, verificatasi nel 1894. Basti pensare che, se gli eventi avessero consentito un suo ritorno a Napoli, non vi sarebbe stata necessità di procedere ad una Sua nuova incoronazione, così come non vi si procedette per S.M. Ferdinando IV allorchè questi fece ritorno a Napoli, sia nel 1799 che dopo il decennio francese .
Coerentemente, in una lettera indirizzata da Arco il 18 novembre 1887, avente il contenuto di un vero e proprio testamento dinastico, S.M. Francesco II si rivolge al "carissimo fratello Alfonso", dicendogli : "Re in dritto tu sei dal momento della mia morte : ma non ne ai lo esercizio .ed aggiungendo : "Se tu crederai ritenere pel momento il tuo presente titolo (Conte di Caserta, n.d.r.), fa che il tuo primogenito prendesse subito quello che gli appartiene di Duca di Calabria e quando questi à un figlio quello di Duca di Noto dal nascere." .
Francesco ha dunque trasmesso il titolo regale al fratello Alfonso (1841-1934) e, dopo di questi, in perfetta continuità dinastica, ai suoi discendenti, ultimo dei quali il principe Carlo, attuale Capo della Real Casa Borbone Due Sicilie ed attuale pretendente al trono che fu dei suoi avi. E ciascun erede al trono ha, in corso di tempo, assunto il titolo di Duca di Calabria, in ossequio alla prescrizione di Francesco II .
2. Questi, inoltre, non si è limitato ad essere Re dal punto di vista nominale, ma ha continuato a svolgere il Suo ruolo di Re, beninteso se ed in quanto le circostanze glielo abbiano consentito.
Una volta lasciata Gaeta, Francesco II si trasferì a Roma con la Regina Maria Sofia, in un primo tempo al Quirinale, ospite di S.S. Pio IX, quindi a Palazzo Farnese, bene pervenuto ai Borbone Due Sicilie dall’eredità dell’ava Elisabetta Farnese, Regina di Spagna . A Roma Francesco II mantenne un Suo Governo in esilio . A Roma lo seguirono anche i Ministri stranieri accreditati prima a Napoli e poi a Gaeta . E da Roma Egli continuò ad occuparsi degli avvenimenti che travagliavano il Suo Regno.  Non a caso, proprio durante questo soggiorno gli venne offerta la restituzione dei Suoi beni privati, illegittimamente confiscati da Garibaldi per conto dei piemontesi, a condizione però che egli lasciasse Roma. La Sua sola presenza in prossimità dei confini del Regno era infatti ritenuta pericolosa per il nuovo ordine sabaudo, in quanto suscettibile di sostenere, anche solo moralmente, quanti combattevano per l’indipendenza della Patria Napolitana e per la Sua restaurazione sul trono.
Portavoce di tale profferta fu il marchese de La Valette, ambasciatore di Napoleone III a Roma, al quale Francesco oppose un dignitoso quanto fermo rifiuto, ricordandogli di non essere solamente Re delle Due Sicilie, ma anche Duca di Castro, come tale proprietario negli Stati Pontifici. Sottolineò, inoltre, come venissero impudentemente chiamati briganti quanti difendevano la loro terra e la legittima dinastia, affermando "Se così è, io mi reputo onorato di essere un brigante. … io non rinnego, né rinnegherò mai coloro che combattono in mio nome…" ed aggiungendo "…io non voglio…dar motivo a credere, anche apparentemente che per un solo istante io abbia rinunziato ai miei dritti".  Quanto ai beni personali confiscatigli, il Re concluse : "…io non soffrirò…che mi si pongano condizioni o mediazioni o che se ne discuta punto. …Sarò povero come tanti altri che sono migliori di me; ed ai miei occhi, il decoro ha pregio assai maggiore della ricchezza." .
Il fatto che Francesco II fosse assolutamente alieno da compromessi forniva nuova linfa al livore dei suoi detrattori, abituati a trattare con uomini sensibili alle lusinghe del danaro, non certo con un Principe integerrimo ed incorruttibile quale era il Re delle Due Sicilie . Nella fattispecie, poi, ritenendo Francesco suo diritto ottenere la restituzione dei beni personali, restava escluso "a priori" che questa  potesse rappresentare l’oggetto di una pretesa concessione in suo favore. Egli ritorna su questo punto nella citata lettera al fratello Alfonso del 1887, nella quale tra l’altro scrive : "Una protesta ad un tempo sembrami necessaria. Sullo spoglio della nostra fortuna privata e come la nostra famiglia è la sola al bando del dritto pubblico e privato in Europa.". Ed è quanto meno curioso notare come in due trascrizioni di detta lettera, nelle quali mi sono imbattuto, l’espressione "protesta", chiaramente leggibile nel testo originale, sia stata mutata – non so quanto in buona fede – nella ben diversa espressione di "proposta"
Nel 1862 Francesco II, avvalendosi del Suo Corpo Diplomatico, rimastogli in massima parte fedele, condusse un’intensa attività, protestando – tramite i Suoi rappresentanti a Pietroburgo ed a Berlino – contro gli annunciati riconoscimenti del Re di Sardegna quale re d’Italia, e dichiarando nulle – a mezzo circolari indirizzate ai Suoi agenti diplomatici presso le corti straniere – le leggi relative alla vendita dei beni della Chiesa, del Demanio e della Casa Reale.
L’8 dicembre di quello stesso anno un’eruzione del Vesuvio distruggeva Torre del Greco. Francesco, inviando all’Arcivescovo di Napoli, Cardinale Riario Sforza, la somma di 800 scudi per soccorrere le popolazioni colpite dalla calamità, scriveva : "Tutte le lagrime dei sudditi miei ricadono sopra il mio cuore,…comunque grande sia la mia catastrofe e meschine le mie risorse, io sono re, e come tale, io debbo l’ultima goccia del sangue mio e l’ultimo scudo che mi resta ai popoli miei." .
Nel 1870, dopo la morte dell’unica figlia, la Principessa Maria Cristina Pia, Francesco II abbandonò Roma, dando inizio al periodo errante della Sua vita di Re in esilio.

La copertina di un saggio edito da Il Giglio Francesco II: un saggio edito da Il Giglio
Ovunque l’esilio lo portasse, Francesco II continuò a seguire le vicende della Patria Napolitana, ricevendo sempre quanti si rivolgevano a lui ed elargendo generosamente ciò che possedeva.

3. Non si comprende a pieno la figura di Francesco II se non ci si cala nella visione cristiana che ha informato l’intera Sua esistenza .

Una visione che affondava le sue radici non solo nell’educazione ricevuta nel periodo infantile ed adolescenziale, ma soprattutto in quella fede profonda che ha sempre caratterizzato Francesco e che gli ha consentito di affrontare ogni avversità con la serenità di chi assiste al compiersi della volontà di Dio, nella consapevolezza che spesso questa supera ogni umana comprensione .
Francesco II ha abbracciato fin dall’inizio del Suo Regno la concezione cristiana della regalità, intesa quale servizio, quale responsabilità, quale decisione .
E’ proprio per questo spirito di servizio che Egli, avendo vissuto da bambino le tensioni provocate dai disordini del 1848, avverte la responsabilità di risparmiare alla Sua Capitale ed ai suoi abitanti gli orrori di una guerra civile, di preservare dalla distruzione i tanti monumenti e testimonianze artistiche formanti un  patrimonio che "…appartenendo alle generazioni future, è superiore alle passioni di un tempo.", come testualmente recita il proclama indirizzato ai napolitani il 6 settembre 1860 .

E’ proprio per questo spirito di servizio che, pur  potendo subito sottrarre se stesso e la Regina Maria Sofia ad ogni sorta di disagio e di pericolo, decide di difendere – e per cinque lunghi mesi difende – a Gaeta l’indipendenza del Regno e l’onore della dinastia che rappresenta, stupendo l’Europa ed il mondo intero, che guardano increduli, sorpresi, a questa giovane coppia regale che sugli spalti della fortezza condivide,

Francesco II sugli spalti della cittadella di Gaeta Francesco II sugli spalti della cittadella di Gaeta
in una perfetta comunione materiale e spirituale, la sorte dei soldati napolitani, incurante delle palle di cannone che i piemontesi continuano a far piovere su Gaeta, piemontesi che dal canto loro – come sottolinea il grande storico Giacinto De Divo – sono "…a desco seduti e sicuri da ogni offesa" .
Ed è con senso di sofferta responsabilità che il 14 febbraio 1861, firmate le condizioni della capitolazione di Gaeta, Francesco II indirizza all’esercito un proclama di congedo, affermando: "…il dover di Re, l’amor di padre mi comandano di risparmiare lo spargimento di sangue che nelle presenti circostanze non sarebbe che la manifestazione di un eroismo inutile. …Mercè vostra è intatto l’onore dell’esercito nelle Due Sicilie; mercè vostra il Sovrano potrà con orgoglio levare alta la fronte…" .
In generale, si aveva e si ha tuttora dei Re una concezione idealizzata, si è abituati a considerarli come dei condottieri, da rispettare ed ai quali obbedire quando avanzano e vincono, da abbandonare e disprezzare quando perdono e cadono nella polvere .
Ma l’uomo-Re è calato nel periodo in cui vive e deve incarnare il ruolo che, a seconda dei casi e dei tempi, la storia gli assegna . E questo ruolo, dunque, non può essere sempre quello della competizione vittoriosa, dovendo talora un Sovrano soffrire la sconfitta e l’esilio, senza per questo cessare di essere e di sentirsi un Re  .
Francesco II ha accettato ed incarnato questo ruolo. E lo ha fatto nel migliore dei modi possibili, dimostrando di possedere un’altissima levatura morale e spirituale ed una dignità che, nella eroica resistenza di Gaeta e durante tutto l’esilio, ottennero l’ammirazione ed il rispetto dei contemporanei.
Annota la Serao nel citato articolo : "Colui che era stato o era parso debole sul trono, travolto dal destino…colui che era stato schernito come un incosciente mentre egli subiva una catastrofe creata da mille cause incoscienti, … ha lasciato che tutti i dolori umani penetrassero in lui senza respingerli, senza lamentarsi: ed ha preso la via dell’esilio e vi è restato 34 anni, senza che mai nulla si potesse dire contro di lui." .
Sembrano riecheggiare le parole di S.Paolo : "…quando sono debole, è allora che sono forte."  (2 Cor 12, 9-10).
E questa "forza" fu ben compresa dai contemporanei, che,  a dispetto della campagna denigratoria orchestrata dai piemontesi, tributarono a Francesco II, dopo la capitolazione di Gaeta, l’omaggio dovuto a chi si era così tenacemente battuto in difesa del legittimo trono dei Suoi Avi, dell’indipendenza del Suo Popolo, del diritto, della tradizione.  La nobiltà europea inviò ai Sovrani Napolitani una gran quantità di doni, in segno di stima, affetto e solidarietà . Elencarli sarebbe troppo lungo. Voglio solo ricordare che le dame di Parigi mandarono un forziere con quattro bassorilievi rappresentanti le scene di Gaeta ed un album di firme contenente l’umile corona della suora di Carità morta nel bombardamento della fortezza, che la Regina aveva sostituito nella cura dei feriti .
Ed in ragione di questa "forza" si è creata e si è alimentata fino ai nostri giorni quella che possiamo definire la leggenda di Gaeta, città simbolo della dignità e dell’onore della Nazione Napolitana  .

4. Un’ultima considerazione va fatta . Francesco II ha pagato questo suo essere rimasto Re fino all’ultimo istante della Sua esistenza terrena con un prolungamento dell’esilio anche "post mortem", a tanto condannato dall’Italia sabauda prima, dall’Italia repubblicana poi. E con lui la Regina Maria Sofia e l’unica Loro Figlia, la Principessa Maria Cristina Pia .
Sono occorsi circa novant’anni perchè le loro salme potessero essere finalmente ricomposte nella Cappella di S.Tommaso Apostolo, sita nella Chiesa di Santa Chiara in Napoli, ove riposano, con essi, tutti i reali della Casa Borbone Due Sicilie .
Ciò è avvenuto nell’aprile del 1984. Un mese dopo, il 18 maggio 1984, si celebrò in Santa Chiara in memoria delle Loro Maestà Francesco II e Maria Sofia un’affollata funzione religiosa, alla quale ebbi il privilegio di assistere, presieduta da S.Em.za il Cardinale Ursi, Arcivescovo Metropolita di Napoli.  Questi concluse la sua omelia con parole perfettamente coerenti con la vicenda storica della quale  Francesco II e Maria Sofia erano stati protagonisti 123 anni addietro : "Stasera più che i suffragi cantiamo l’alleluja per i nostri fratelli Francesco e Sofia… oggi questi due giovani riprendono il loro trono nell’amore degli autentici napoletani." .
Dobbiamo essere grati a questo Re, che ha amato profondamente il Suo Popolo,  fieri dell’esempio di assoluta dignità e di grande forza d’animo, che Egli ci ha tramandato .
Ma non dimentichiamo che Francesco II ci ha lasciato, da vero cristiano, anche un testimone di speranza, contenuto nel proclama che Egli indirizzò alla Nazione da Gaeta l’8 dicembre 1860, ricorrenza della Vergine Immacolata, protettrice delle Due Sicilie : "…Traditi egualmente ed egualmente spogliati noi ci risolleveremo dalle nostre disgrazie. Il tempo delle nequizie non ha durato mai lungamente, nè sono eterne le usurpazioni….".
E così sia .
Massimo Cimmino

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