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Battipaglia - le origini




Non molti conoscono le origini della città di Battipaglia, non molti quindi sanno che il tutto nacque dopo l'ennesima catastrofe dovuta a un sisma.
Riportiamo sull'argomento un ampio stralcio di un articolo di Mira Cilento pubblicato dalla rivista l'Alfiere;

Le origini della città di Battipaglia, oggi notevole centro della Piana del Sele, sono legate, paradossalmente, ad un periodo di catastrofi naturali che sconvolsero le zone della Campania e della Basilicata, tra il Vallo di Diano e il territorio di Melfi, nel corso dell'intero XIX secolo.
Ben 13 terremoti si abbatterono su quelle terre, culminando nel sisma del 16 dicembre 1857, che interessò la regione compresa tra l'Adriatico e il Tirreno, toccando la Puglia, la Calabria, la Basilicata e la provincia di Salerno.
L'evento scosse profondamente l'opinione pubblica sia per la rapida diffusione delle notizie per mezzo del telegrafo elettrico, sia per l'eco stampa che ebbe, dovuto al fatto che esso avvenne pochi mesi dopo lo sbarco a Sapri dei "300 giovani e forti", cioè dei rivoluzionari guidati da Pisacane, che tentarono di far sollevare il Cilento (il terremoto incise anche su questa vicenda, infatti, il processo ai 248 imputati che avrebbe dovuto iniziare proprio nel dicembre 1857, slittò al gennaio successivo per i danni subiti dalla sala delle udienze della Gran Corte Criminale di Salerno. Il processo fu tenuto, poi, nel refettorio di un monastero in disuso e si concluse nel luglio del 58 con sette condanne capitali, commutate in ergastoli). Tutte le parti storiografiche ammettono che il governo stanziò fondi considerevoli per i danni e che si adoperò con grandi sforzi, ma purtroppo, la corruzione non era un fatto raro neppure a quei tempi e parte degli aiuti si perse in rivoli poco limpidi.
Anche il de Sivo ricorda, nella sua Storia, che "il governo a nulla mancò ma tanti soccorsi e denari passarono per brutte mani".

Ad ogni modo, nonostante le difficoltà, i soccorsi alle popolazioni terremotate furono solleciti e ben distribuiti sul territorio colpito, grazie anche all'impegno degli Intendenti Achille Rosica a Potenza e Luigi Ajossa a Salerno, fedeli al Re Ferdinando e con grande esperienza dell'apparato amministrativo, in seguito nominati ministri. Inoltre la solidarietà popolare seguendo l'esempio e le disposizioni del Re stesso, permise di raccogliere una ingente somma in una "Colletta" che andò a far parte integrante degli stanziamenti per la ricostruzione.
Ciò non deve sembrare strano poiché, nel Regno delle Due Sicilie, l'organizzazione sociale fondava stabilmente sulla vitalità di libere associazioni di cittadini, che si aggregavano in confraternite religiose, in associazioni di mutuo soccorso ecc. che, non solo sostenevano i propri associati, ma erano solidali nei confronti della intera collettività, nei momenti di crisi. L'Amministrazione del Regno, dunque, si occupò principalmente della ricostruzione degli edifici pubblici, delle chiese e dell'aiuto ai poveri e senza tetto.
Anche in questo caso, però, Ferdinando II si dimostrò saggio innovatore e precursore dei tempi, come fu in tanti altri settori della sua politica. Il re, infatti, trasformò la drammatica contingenza del sisma del 1857 in una nuova opportunità offerta a famiglie contadine non abbienti, promuovendone il trasferimento in zone di nuovo insediamento, recuperate grazie all'imponente opera di bonifica avviata già da tempo. Contadini, impiegati fino a quel momento come braccianti, sarebbero così divenuti assegnatari di una abitazione e di terreni da coltivare in proprio.
Le bonifiche furono uno dei capitoli di maggiore rilievo della politica economica e sociale intrapresa dal Re, già dal 1832. Basti dire che, al momento della morte di Ferdinando II, erano stati bonificati 338.000 ettari di terreno tra la Puglia e la Campania, e che una parte di tali terre erano state suddivise tra famiglie contadine nullatenenti, insieme al necessario per avviare l'attività. Ciò, ovviamente, portava alla emancipazione di fasce di popolazione e all'incremento della produzione. Nella sola zona del Volturno, erano stati distribuiti ben 18.000 ettari di terra a 1.300 famiglie, in provincia di Foggia era sorta la colonia S. Ferdinando di Puglia; altri insediamenti erano stati fondati nel casertano e in Calabria. Anche nella Piana del Sele, nel 1857, era in atto un'opera di bonifica, sotto la sovrintendenza dell'Amministrazione generale della bonificazione, l'ufficio costituito con la legge dell'11 maggio 1855, che aveva la totale responsabilità dei lavori.
Si ritenne che proprio quella zona fosse la più adatta alla fondazione di una nuova colonia agricola, per la vicinanza con l'area interessata dal sisma e per la buona posizione geografica. A soli due mesi di distanza dal terremoto, nel febbraio 1858, l'Amministratore Ajossa e Rosica, su incarico del Re, iniziarono l'esame dei luoghi per scegliere il sito più adatto. Alla fine fu preferita la contrada Battipaglia, una zona pianeggiante sul fiume Tusciano, dove si incrociavano due importanti strade, quella delle Calabrie e quella del Vallo, dove c'era la migliore sorgente del circondario e vi era costituito già un piccolo agglomerato di masserie e mulini, con una cappella.

Uno schizzo del progetto della ricostruzione

Il Savarese pensava di costruire, con poca maggiorazione di spesa delle case in muratura al posto delle baracche in legno, di distribuire alle famiglie dei coloni circa 10 moggia di terra e di salariare il lavoro dei capifamiglia, delle donne e dei fanciulli che prendessero parte alla bonifica. Il 28 maggio successivo, su richiesta esplicita del Re, venne definito il perimetro della futura colonia, sul terreno del principe d'Angri, e si trovò persino un imprenditore francese disposto ad assumere l'appalto anticipando il capitale in cambio di un interesse del 4%.
L'approvazione del Re giunse il 18 giugno per quanto sin lì stabilito e l'ordine di avviare una regolare gara d'appalto per dare inizio ai lavori. Secondo il progetto del Savarese i lavori prevedevano l'edificazione di fabbricati in muratura, la suddivisione degli appezzamenti, la preparazione del terreno per renderlo atto alla coltivazione, la predisposizione di canali di drenaggio delle acque piovane e la costruzione della rete viaria. Tali lavori avrebbero comportato una spesa di circa 450 ducati in favore di ciascuna famiglia assegnataria, ai quali bisognava aggiungere altri 50 per strumenti, utensili e sementi necessari all'avvio della coltivazione e quindi si rendeva indispensabile ma cospicua integrazione dei fondi previsti che ammontavano a 12 mila ducati.
Il Savarese, nominato direttore dell'intera opera, stabilì anche i criteri per la designazione delle famiglie di coloni: l'appartenenza ai comuni terremotati, la sana e robusta costituzione, l'età inferiore ai 40 anni e l'irreprensibile condotta politica e religiosa. Nel luglio 1858 (otto mesi dopo il terremoto) la fase operativa aveva avuto inizio e, alla fine dello stesso mese, l'Intendente di Salemo già approntava una lista di 94 famiglie provenienti dal Vallo di Diano, per un totale di 416 persone. Il 24 agosto una sovrana disposizione stabilì che la colonia, all'inizio, avrebbe ospitato 100 famiglie fatte giungere in loco gradualmente; ad ognuna di esse sarebbero state concesse in enfiteusi 5 moggi di terra ad un modico canone. Nel settembre 1858 fu presentato ed approvato il progetto dei fabbricati a due piani, denominati '"compresi", predisposti per cinque famiglie, con un cortile comune.
Nelle intenzioni del Savarese, i lavori avrebbero dovuto procedere in modo più sollecito di quanto in realtà accadde; il ritardo fu dovuto, soprattutto, al sopraggiungere di un inverno particolarmente piovoso. Nel dicembre 1858, comunque, erano in via di ultimazione quattro fabbricati, con le case per venti famiglie. La richiesta di alloggi e di terra era tale che, con ulteriore provvedimento del novembre 1859, fu ampliato il progetto della colonia, portando il numero delle famiglie a 120.
A questo punto la nascita di Battipaglia si intreccia con la triste conclusione del Regno: l'invasione garibaldina attraversò quei luoghi nel settembre 1860. Fino a quel momento erano stati ultimati 12 "compresi", mancanti soltanto dei vetri alle finestre, altri 6 dovevano essere rifiniti con le opere in legno e 2 erano ancora in fase di costruzione, per un costo di circa 40.000 ducati.

La storia si concluse tristemente: le case agibili furono assegnate a chi, avendone fatto richiesta, potesse presentare un certificato comprovante lo stato di nullatenenza e la buona condotta morale e politica. E ovvio che, nell'aprile 1861, essendo notevolmente cambiati i criteri circa la buona condotta, delle 120 famiglie terremotate scelte nel 1858 soltanto 32 furono ritenute degne di vedersi assegnata la casa e la terra.

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