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Vincenzo Montefusco



Juliano, Montefusco ed Improta sono tre giocatori del Napoli degli anni 60-70 accumunati dallo stesso destino: giocatori (centrocampisti) di classe, nati a Napoli, attaccatissimi alla città e alla maglia azzurra, ma tutti e tre sfortunatissimi perchè nessuno dei tre è riuscito a vincere a Napoli qualcosa di significativo. Altri giocatori napoletani, di ben più basso spessore e contenuto tecnico, sono riusciti a centrare la conquista dello scudetto.
Oggi parliamo di Vincenzo Montefusco, classe 1945, per tanti anni titolare della maglia azzurra, qualche anno poi da giocatore sempre in serie A, ma in altre squadre (Foggia e Vicenza), una lunga carriera ancora da allenatore in giro per l'Italia e infine l'esperienza nel settore tecnico del Napoli.
Intervistiamo Enzo, sempre in forma e sempre in gamba; come vedrete la vita sportiva di Vincenzo Montefusco è stata più volte caratterizzata dallo stesso evento: il rifiuto di un'occasione importante a vantaggio del ritorno a Napoli e nel Napoli.

Quicampania: Enzo, come hai cominciato la tua avventura nel mondo del calcio?

Vincenzo Montefusco: A dodici anni sono entrato nei pulcini del Napoli; all'epoca il tecnico era il mitico Lambiase. A quattordici anni ho poi giocato, per un solo anno, in una squadra di Lega Giovanile, I Comunali. Poi sono tornato nel Napoli. Ho esordito giovanissimo in serie A contro il Genoa a diciasette anni nel 1963, riuscendo anche a segnare un goal. Ma ancora prima di esordire in Serie A, avevo giocato una partita in Coppa Uefa, a Belgrado. Di questo devo essere grato a Bruno Pesaola, grande allenatore e grande stratega e psicologo. A proposito di debutti, il mio amico Juliano debuttò sette giorni dopo di me, contro l'Inter.

Quicampania: Siamo nell'estate del 1964, il Napoli è in B; il presidente è Fiore, il "padre padrone" è Achille Lauro. In quei giorni si sta costruendo la squadra che risalirà in A e che arricchita, poi, da grandi fuoriclasse come Altafini e Sivori, lotterà per tanti anni per le prime posizioni in classifica. In Italia, in Europa e nel mondo, l'Inter detta legge, con il suo incredibile squadrone; ebbene il grande Helenio Herrera chiede e ottiene per un posto da titolare a centrocampo, in sostituzione dell'ormai anziano Tagnin, il giovanissimo (diciannove anni) Montefusco del Napoli.

Vincenzo Montefusco: Per me fu una grandissima soddisfazione! Feci la preparazione precampionato con l'Inter, giocai da titolare in mediana in un torneo estivo; per me era incredibile giocare con quei fuoriclasse, dialogare a centrocampo con quel mostro di Suarez; ero voluto bene da tutti, capitan Picchi aveva un occhio di riguardo per me.

Quicampania: Poi cosa accadde?

Vincenzo Montefusco: L'operazione di mercato prevedeva che al Napoli sarebbe dovuto arrivare in cambio il giocatore Zaglio. Questi però si rifiutò di venire a Napoli. Quando mi comunicarono che il mio passaggio all'Inter stava per saltare, stranamente fui felice pensando al fatto che tornavo nel mio Napoli e nella mia città. Quindi, non mi diedi per nulla da fare per evitare che il mio trasferimento all'Inter saltasse.

(NDR): Incredibile! Un giovane di diciannove anni ha la possibilità di giocare nell'Inter, la squadra più forte del mondo, ed è contento di tornare a Napoli, per giocare in serie B. Un attaccamento alla maglia e alla città che oggi sarebbe impossibile ritrovare in un giovane (pensate a un trasferimento al Barcellona...).

Quicampania: La carriera di Vincenzo Mntefusco riprende quindi nel Napoli. Dopo la riconquista della A, seguiranno alcuni anni felici, di gran calcio e di gran divertimento per il pubblico napoletano.

Vincenzo Montefusco: Il Napoli aveva costruito uno squadrone; conquistammo anche un secondo posto. Comunque arrivavamo sempre tra i primissimi: oggi avremmo giocato fisso nella Champions!
ll cuore della squadra era il centrocampo: Bianchi, Juliano ed il sottoscritto costituivano uno dei migliori reparti della serie A. Bianchi era un mediano tutto polmoni e cattiveria, Juliano un grande centrocampista-regista arretrato, io davo un qualcosina di più in termini di tecnica. Sono stati i migliori anni della mia carriera calcistica. Ricordo tante partite; tra queste una in cui segnai una doppietta alla Juventus per un risultato finale di 2-1; si tratta della partita passata alla storia come quella delle "mazzate": c'era un grande odio tra Sivori e l'allenatore della Juve, Heriberto Herrera. Favalli, ala della Juve, provocò in continuazione Omar determinandone la reazione. A questo punto arrivarono i "carri armati" Salvadore e Panzanato che se le diedero di santa ragione. La rissa proseguì sulle scale che portavano agli spogliatoi. Risultato: tante giornate di squalifica, in particolare sei per Sivori: così Omar decise di abbandonare il calcio e tornò in Argentina.

Quicampania: Come prosegue la tua carriera?

Vincenzo Montefusco: A fine anni '60 e ad inizio anni '70, in particolare con la venuta a Napoli del mitico Vinicio, mi rendo conto di non essere più tanto apprezzato; gioco quindi in altre squadre, nel Foggia e poi nel Vicenza, degli ottimi campionati da titolare; ma il cuore mi dice di tornare a Napoli e preferisco una posizione dubbia nel Napoli a un ruolo da titolare in un'altra sqadra di serie A. Non riesco quindi a convincere Vinicio delle mie doti e non riesco a ottenere un posto da titolare in quello squadrone che per due-tre anni impose il suo gioco innovativo in Italia.

(NDR: Per la seconda volta, Vincenzo Montefusco privilegia la maglia azzurra, non da titolare, e la sua città rispetto a un posto sicuro da titolare in serie A, lontano però da Napoli).


Quicampania: Terminata la carriera da giocatore, hai intrapreso quella da allenatore.

Vincenzo Montefusco: Anche qui ho avuto molte soddisfazioni, ho guidato tante squadre con ottimi risultati. Quando però sono stato chiamato ad allenare la Primavera del Napoli per diventare successivamente il dirigente responsabile del Settore Giovanile, ho preferito tornare nella mia città e nella mia squadra.

(NDR: E sono tre! Per Enzo meglio allenare nella sua città le giovanili del Napoli, che una prima squadra in un'altra città italiana)

Quicampania: A Napoli, da allenatore, sei stato protagonista della finale di Coppa Italia del 1997, finale persa con il Vicenza.

Vincenzo Montefusco: E' una sintesi sbagliata! In quell'anno il Napoli, allenato da Simoni, era partito molto bene. Poi Gigi chiuse un accordo per allenare l'Inter nel campionato successivo; le cose in campionato incominciarono ad andare molto male per il Napoli, al punto tale che la retrocessione sembrava un fatto certo. Io lavoravo con le giovanili e fui chiamato dal DG Bianchi ad assumere la responsabilità della prima squadra. Una responsabilità tremenda: bisognava salvare il Napoli dalla B e non volevo assolutamente che la mia squadra retrocedesse e che il mio nome fosse associato a tale evento "tragico".
Per senso di responsabilità e senza avere alcun riconoscimento economico extra per il nuovo incarico, accettai. Riuscii nel miracolo e nessuno oggi ricorda questa grande impresa. Tutti ricordano però la sconfitta in Coppa Italia. Le cose andarono così: mancavano pochissime giornate al termine del Campionato e le due finali di Coppa Italia si vennero ad intrecciare con le ultime e decisive sfide per la salvezza. In particolare dovevamo incontrare il Vicenza anche nell'ultimissima giornata di Campionato: in totale quindi tre partite con i veneti.
Ci salvammo con una giornata di anticipo; nella successiva settimana andammo a giocare la partita di ritorno a Vicenza, quella di andata l'avevamo vinta per 1-0. Fu una partita stranissima: dopo pochi minuti, il nostro attaccante Caccia si fece espellere in maniera futile costringendoci a giocare in 10 per quasi tutta la partita. I giocatori mi parvero deconcentrati, probabilmente per l'avvenuta conquista della salvezza; non riuscii a modificare il loro atteggiamento e perdemmo l'incontro ai supplementari per 3-0. Coppa Italia sfumata, ma per me l'importante era rimanere in Serie A e ci eravamo riusciti!

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