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Ragazzi, ho un problema a casa...


di Antonio


Cara Quicampania,
ho letto con molto piacere la lettera di Mara ( NDR clicca qui), nella quale la vostra lettrice ci racconta del fanatismo e della scaramanzia del marito tifoso.
Vorrei proporvi una mia storia, personalmente vissuta e risalente a molti anni fa, per la precisione al 1989. Lavoravo da alcuni mesi in un nuovo ufficio; eravamo in quattro: io, Gennaro, il capo, e altri due ragazzi, Giovanni ed Enrico. Gennaro all'epoca era l'unico tra di noi sposato; aveva anche due figli, Adriano e Rosaria, rispettivamente di quindici e dodici anni. Gennaro era un capo simpaticissimo, sempre allegro e disponibile, non faceva mai valere il suo grado. Erano però alcuni giorni che ci appariva strano: un po' distratto, meno allegro, meno pronto alla battuta.
Quel giorno era in ritardo; Giovanni stava litigando, come spesso accadeva, con la sua fidanzata al telefono, Enrico era nel pieno di una delle attività lavorative più abituali dell'epoca, stava cioè "scartando i tosti dai mosci", attività particolarmente impegnativa consistente nel selezionare i documenti validi (di carta) da quelli non validi (in cartoncino). Io stavo scrivendo una lettera ad un nostro cliente.
Entra Gennaro: a momenti non ci saluta. Si vede che sta proprio male. Noi tre ci lanciamo uno sguardo d'intesa.
"Gennaro, tutto bene?". Si vede chiaramente che Gennaro ha bisogno di sfogarsi:
"Ragazzi, ho un problema a casa…".
Ci guardiamo preoccupati.
Gennaro: "Mio figlio Adriano…".
Giovanni a quel punto allontana la cornetta dall'orecchio, Enrico ed io ci alziamo in piedi: tutti e tre pensiamo alla stessa cosa: Adriano, il figlio adolescente di Gennaro, è entrato nel tunnel della droga. Ebbene, la realtà doveva risultare ben più grave!
Gennaro: "Ho scoperto che Adriano…".
In coro: "Hai scoperto che Adriano…?".
Gennaro: "Insomma, Adriano…".
"Gennaro, lasciati andare; qualunque cosa ci dirai, rimarrà tra di noi. Ti farà bene sfogarti".
Gennaro: "Ho scoperto che Adriano tifa per la Juventus.".
All'unisono noi tre "NOOOOO!!!". Giovanni chiude il telefono "in faccia" alla fidanzata, io ed Enrico ci avviciniamo increduli alla scrivania di Gennaro.
Giovanni: "E'uno scherzo? Tuo figlio tifa per la Juventus! Gennà, nun pazzià!".
Gennaro: "E' così"!
Enrico:"Come lo hai scoperto? Mica questo figlio di…, pardon, mica Adriano ha avuto il coraggio di manifestarlo chiaramente?".
Gennaro:"Ovviamente no! Per caso, in un suo cassetto ho trovato una vecchia foto di Platini".
Io:"Cosa? La uallera francese di Maradona!".
Gennaro: "A quel punto l'ho interrogato ed ha confessato: tifa Juve, di nascosto, da due anni!" Rimanemmo attoniti. Cosa si può fare in questi casi? Provare a consolare l'amico è inutile; troppo grande il dolore! Si può solo tentare di essere propositivi. E, infatti, nacque una discussione su come riportare sulla retta via il delinquente. Si formarono due correnti di pensiero: la prima era quella della linea dura; sanzioni subito e a crescere. Niente paghetta, poi niente amici, e così via. La seconda corrente di pensiero spingeva per un approccio "morbido", basato sulla discussione, sul far capire al disgraziato come e perché stesse sbagliando.
Gennaro ci guardò sconvolto; da quel momento non ne parlò più e non volle che se ne parlasse. Non sapevamo cosa fare.
Passarono due mesi; una mattina Gennaro entra raggiante in ufficio con una bottiglia di spumante: "Ragazzi, la tragedia è rientrata. Adriano tifa bene, tifa Napoli!".
Lo abbracciammo contenti; ovviamente gli chiedemmo come avesse fatto.
"Gli ho chiesto di accompagnarmi allo stadio, senza impegno, solo per farmi compagnia e per guardare la partita".
"Quindi?".
"Ha visto giocare Lui, il Maestro. Dopo due partite si è convertito!".


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