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Attila Sallustro

Il primo amore non si scorda mai



Copertina del libro La copertina del libro


Giuliano Pavone è l'autore di un recente libro dedicato ai più grandi protagonisti della storia del Napoli,Tutti gli uomini che hanno fatto grande la SSC Napoli.

Attila Sallustro è probabilmente il primissimo fuoriclasse della storia del Napoli e, come tale, non poteva non essere adeguatamente ricordato dall'autore nella sua opera.

Ringraziamo Giuliano Pavone per averci concesso la possibilità di pubblicare questo estratto dal suo libro, estratto interamente dedicato alla figura del mitico Attila Sallustro.








Ha segnato più di tutti e ha vestito la maglia del Napoli per undici lunghe stagioni. Ma l’amore fra i napoletani e Sallustro non si limita a questo. Esotico eppure partenopeo, teatrale ed elegante, bello in campo e fuori, passionale e umanamente fallibile: Attila Sallustro aveva tutto per diventare un idolo sotto il Vesuvio, e idolo fu. E poi la sua carriera coincide con gli albori stessi del Calcio Napoli, di cui diventò la prima bandiera. E il primo amore, come si sa, non si scorda mai.
Attila Sallustro era nato ad Asunción, in Paraguay, da famiglia napoletana. E insieme alla famiglia, ancora ragazzino, approdò a Napoli da emigrante di ritorno. La Villa Comunale di inizio secolo fu il suggestivo teatro dei suoi primi calci. Entrò nell’Internazionale, la squadra nata per scissione dal Naples, e, dopo la nuova fusione, nell’Internaples, di cui diventò centravanti nel campionato 1925-26. Ma il primo agosto 1926, sotto l’egida di Giorgio Ascarelli, l’Internaples diventa Napoli, e Sallustro vi entra a far parte fin da subito. Il Napoli è appena nato, e Sallustro ha diciotto anni.
Attila Sallustro in azione Attila Sallustro in azione
Centravanti rapido, individualista e dal tiro micidiale, Sallustro venne soprannominato «il Veltro», cioè il levriero. Di quella razza canina possedeva la grazia e la velocità, ma anche la bellezza e il fascino, che contribuirono a farne un personaggio.
Beniamino delle donne, per gli uomini era un modello a cui ispirarsi, anche se le malelingue – chissà se per invidia o per quei tratti gentili che rendono gli uomini molto belli a volte un po’ effeminati – arrivarono fare delle congetture sul suo orientamento sessuale. Congetture che, come si vedrà, verranno sfatate in modo abbastanza eclatante.
Noto anche come Sallustro I per via del fratello minore, Oreste, che giocò trenta partite nel Napoli, Attila Sallustro col nuovo sodalizio partenopeo condivise le prime due terribili annate e la successiva crescita. Nella prima stagione – quella che con un pareggio e diciassette sconfitte fece nascere nella fantasia popolare l’immagine del ciuccio – segnò una sola volta, nella seconda cinque. Ma nel 1928-29, a fronte di una squadra non ancora irresistibile (arrivò ottava a pari merito con la Lazio ed entrò per il rotto della cuffia nel primo campionato a girone unico, in programma l’anno successivo), segnò ben ventidue gol, stabilendo un record che negli anni successivi sarebbe stato eguagliato solo da Vojak e da Schwoch. Con alcune precisazioni: Schwoch i suoi gol li fece in Serie B, Sallustro ne segnò ventuno nella «regular season» e uno nello spareggio con la Lazio (un 2-2 poi risultato inutile alla luce della decisione, prima di un ulteriore spareggio, di ammettere entrambe le squadre al torneo successivo). La media gol a partita premia proprio Attila, che i suoi ventidue centri li fece in ventotto gare, contro le trentaquattro di Vojak e le trentacinque di Schwoch.
Tempi romantici: il padre di Sallustro non ritiene dignitoso che Attila venga pagato per giocare a calcio, così il fuoriclasse viene inizialmente ricompensato con premi e regali. Passerà al professionismo solo in un secondo momento.
Nel 1929-30 il presidente Ascarelli ingaggia l’allenatore inglese Garbutt e rinforza la squadra. Il Napoli entra nel gotha del calcio nazionale: nel primo campionato di Serie A a girone unico (fino all’anno precedente esisteva la Divisione Nazionale, articolata in due gironi) si classifica quinto alle spalle di Ambrosiana, Genova, Juventus e Torino. Sallustro è sotto le armi, ma riesce comunque a segnare tredici gol. Durante uno spettacolo al Teatro Nuovo dichiara clamorosamente la sua attrazione per la soubrette Lucy d’Albert. La loro storia d’amore terrà banco negli anni successivi. I due si sposeranno nel 1934 e, quando lei si trasferì a Roma con la compagnia teatrale, tutta la città rimase col fiato sospeso temendo una partenza del campione (che in effetti fu tentato da un’offerta dei giallorossi ma bloccato da Lauro).
Sallustro in quegli anni rivaleggiava con Peppino Meazza. Il grande campione milanese gli chiuse le porte della Nazionale (solo due presenze e un gol per il napoletano) ma Sallustro seppe prendersi le sue rivincite, segnando all’Ambrosiana due doppiette (9 giugno 1929, Napoli-Ambrosiana 4-1 e 29 maggio 1930, Napoli-Ambrosiana 3-1) e diversi gol. Dopo averne segnato uno decisivo (28 febbraio 1932, Napoli-Ambrosiana 1-0), regalò una medaglia d’oro al suo avversario.
Dopo una stagione dignitosa e una deludente (sesto posto nel 1930-31 e nono nel 1931-32) in cui Sallustro ha dato comunque il suo contributo di gol (rispettivamente dieci e dodici) il Napoli vive due annate d’oro, collezionando due terzi posti consecutivi nel 1932-33 e nel 1933-34. Nella prima Sallustro è protagonista, segnando diciannove gol (ma il capocannoniere del Napoli è Vojak con ventidue), frutto specialmente di un avvio esplosivo (dodici centri nelle prime quattordici partite). Nella seconda invece si accontenta di un ruolo da comprimario, fermandosi a soli quattro gol. È l’inizio del declino per Sallustro, che nelle ultime tre stagioni al Napoli segna appena diciotto gol. La vox populi attribuisce all’irresistibile avvenenza della moglie le colpe della flessione. Anche il Napoli, intanto, vive la stessa parabola del suo campione e simbolo, dimostrandosi incapace di ripetere i buoni risultati degli anni precedenti.
Dopo undici stagioni nel Napoli, condite da centoquattro gol (record ancora ineguagliato nella storia del sodalizio partenopeo), nel 1937 Attila Sallustro passa alla Salernitana, dove conclude la sua carriera dopo appena un anno e un gol.
Si trasferì a Roma, dove restò fino al 1960, quando rientrò a Napoli perché gli fu assegnato il ruolo (per lo più onorario) di direttore del nuovo stadio San Paolo. E al San Paolo fu anche allenatore, per appena due partite, subentrando ad Amadei alla fine del campionato 1959-60. Dopo la sua morte, molti proposero accoratamente di intitolare lo stadio alla sua memoria, ma il cambio di nome non si fece, pare per le resistenze delle autorità ecclesiastiche che avrebbero mal digerito l’accantonamento del Santo. Nel 1999, però, al calciatore fu intitolata una via nel quartiere Ponticelli.
Attila Sallustro se ne andò nel maggio del 1983, poco più di un anno prima dell’arrivo di Maradona. Quasi un modo discreto di defilarsi, lasciando campo libero al nuovo idolo. Ma del paraguaiano dai ricci biondi, sguardo e tiro irresistibili, nessun vero tifoso del Napoli potrà mai dimenticarsi.

 

Attila Sallustro
Attaccante e allenatore
Nato a Asunción (Paraguay) il 15 dicembre 1908
Morto a Roma il 28 maggio 1983
Nel Napoli dal 1926 al 1937 da giocatore
presenze in campionato: 262
gol: 104
Nel 1960 da allenatore
partite di campionato: 2 (1 V, 0 N, 1 P)

 

 

(C) Estratto tratto da "Tutti gli uomini che hanno fatto grande la SSC Napoli" di Giuliano Pavone, per gentile concessione di Castelvecchi editore

 

 

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